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La timidezza

Il termine timidezza in generale viene utilizzato per indicare tutte quelle forme di imbarazzo che si possono avvertire in presenza degli altri. A tutt’oggi non esiste una definizione univoca e scientifica di tale parola; in modo più specifico però si parla di timidezza quando si presenta una tendenza spiccata a mantenersi in ombra e ad evitare di prendere l’iniziativa in qualsiasi tipo di situazione sociale e relazionale, si tratta di un impaccio nelle interazioni, nonostante ci sia il desiderio relativo di affrontare certe relazioni.

Anche se non si tratta di una malattia, la timidezza è un disturbo che può creare un disagio notevole che nei casi più gravi può portare a delle complicazioni psicologiche, quali la depressione, tendenza all’isolamento sociale, mancanza di progettualità e di crescita individuale.

Come si manifesta la timidezza

Le manifestazioni fisiologiche che caratterizzano il timido: disturbi della secrezione (traspirazione, soprattutto delle estremità, mancanza di saliva; deglutizione anormale); dilatazione dei vasi periferici: il rossore al viso; costrizione dei vasi periferici: il pallore del volto; disturbi della parola e della respirazione: contrazioni del torace, corde vocali rigide che implicano parola strozzata, respiro corto, balbuzie, respirazione aritmica, cambiamento di voce che talvolta è molto bassa ed incomprensibile; rigidezza muscolare: incapacità di coordinare volontariamente i movimenti, esitazione, movimenti involontari, facilità ad inciampare, a rompere oggetti, mancanza di equilibrio; tremolio alle dita; contrazioni cardiache: sensazioni che il cuore stia per cedere; spossamento, sudore, stato di passività una volta terminata la crisi di timidezza.



TIPI DI TIMIDEZZA

  • Timidezza d’azione: è la paura di disturbare l’altro. I timidi di azione non vorrebbero contraddire gli altri per nessun motivo; non vorrebbero mai trovarsi a dover prendere un’iniziativa che potrebbe metterli a rischio di tradire un disaccordo da parte loro. A proprio agio in pubblico, non si oppongono mai. Rifiutano le discussioni, evitano di porre domande precise durante le conversazioni. La paura del conflitto riflette il timore di essere poco stimati.
  • Timidezza di prestazione: è l’impressione ossessiva e paralizzante che gli altri siano lì per giudicarci. L’esposizione di fronte ad un gruppo di persone, la lettura di un testo in pubblico sono situazioni che mettono alla prova. Questa forma di timidezza inizia a manifestarsi sui banchi di scuola, con la paura di fare domande in classe.
  • Timidezza della rivelazione di sé: in questo caso la paura riguarda il territorio del personale. I timidi della “rivelazione di sé” sono a proprio agio con le conversazioni quotidiane, ma si bloccano quando si sfiora la loro vita personale. Li si conosce da anni, e ci si rende conto tutto d’un tratto di non sapere nulla di loro.


Cause della timidezza

Sembra dimostrato che i fattori ereditari esercitino un ruolo primario nello stabilire gli aspetti strutturali della personalità; l’ambiente poi gioca un ruolo altrettanto fondamentale nel cristallizzare certe predisposizioni biologiche. Molti bambini, nati timidi, possono dunque riuscire a superare i loro problemi d’inibizione, mentre altri possono rimanere timidi per tutta la vita, a causa delle influenze subite dall’ambiente.

Modelli psicologici 

Le radici psicologiche della timidezza sono sicuramente da ricercarsi nell’ambiente familiare e nelle prime relazioni con le figure genitoriali.
Una famiglia blindata, poco numerosa e con pochi contatti sociali, dove anche i genitori hanno atteggiamenti timidi e riservati verso gli altri, dove si parla poco, non ci si scambiano manifestazioni d’affetto, non si esprimono le emozioni, se il dovere conta sempre e comunque più del piacere, questo permetterà alla timidezza di trovare maggiore spazio nel comportamento del bambino.

E’ abbastanza normale che il bambino sviluppi comportamenti caratterizzati dall’inibizione, con uno stile di vita molto riservato, assenza di iniziative, scarsa propensione al rischio e alla competizione. Dalla famiglia di origine possono venire, oltre che modelli di comportamento inadeguati, anche atteggiamenti educativi sbagliati, come l’essere molto critici nei confronti dei figli: questo atteggiamento rende i figli timorosi di esprimersi, per la paura di sbagliare, di essere osservati, di essere giudicati dagli altri e  criticati. Quindi alla base ci possono essere eccessive ansie, critiche, rimproveri o anche il troppo amore, cioè una forma di iper-protezione che non permette di relazionarsi con il mondo.

La timidezza ha come elemento principale l’inibizione, una forma di irrigidimento comportamentale che portano come conseguenza l’evitamento; alla base di questo atteggiamento è presente una bassa autostima da ricostruire al più presto per contrastare la paura di essere sempre giudicato negativamente.

Come si supera la timidezza

Una volta scoperta l’origine e la causa che rende timidi si può lavorare per vincere la timidezza e riscoprirsi più sicuri di sé. In primis bisogna riconoscere di essere timidi ed insicuri senza nascondersi dietro l’evidenza, anche perché la diagnosi non è di un male incurabile, ma di qualcosa di cui, accertandone l’esistenza, si è già fatto il primo passo per la cura. Occorre aumentare l’autostima, aumentare le capacità comunicative e superare la paura di sbagliare e dell’ignoto.

Sarà necessario strutturare un percorso di superamento graduale delle timidezze partendo da quelle più alla portata della persona per poi giungere a quelle più difficili.
La costanza è la chiave per vincere la timidezza e non abbiate timore di affrontare la vita e i rapporti interpersonali, pensate che “ la timidezza è la voce di una ricchezza interiore da accogliere e sfruttare”.

 

“La timidezza”, tratto in data 28-03-2012 da Obiettivo Psicologia. Formazione, lavoro e aggiornamento per psicologi
http://www.opsonline.it/index.php?m=show&id=28400

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