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Quando l’abuso è verbale

 

La violenza non nasce sempre sul piano fisico, ma ha origine  spesso sul piano psicologico: la violenza è prima di tutto violenza verbale. Spesso la violenza fisica viene preceduta proprio da quest’ultima.

La violenza verbale può essere considerata l’anticamera della violenza fisica, dato che spesso, anche se non sempre, la precede. In ogni caso, anche qualora il maltrattamento fisico non avvenisse, la violenza verbale è a tutti gli effetti una forma di maltrattamento, la cui azione è subdola e lavora a livello emotivo e psicologico in maniera sottile, tant’è che molte vittime di violenza verbale non sono neppure consapevoli di essere in una relazione abusante a tutti gli effetti.

Le cicatrici inferte dalla violenza verbale possono essere profonde e durature, più di quelle di calci o pugni, ma spesso non sono così visibili.

Più della metà delle persone che subiscono violenza, riferiscono che è proprio l’abuso verbale ciò che crea loro, nel tempo, il più grave danno.

La violenza fisica e quella verbale possono essere, dunque, considerate alla pari in termini di conseguenze psicologiche.

Le parole usate male divengono  strumento per il maltrattamento emotivo: ciò può compiersi tramite denigrazioni, derisioni, urla, minacce, insulti, intimidazioni, critiche continue, ma anche silenzi (ugualmente eloquenti).

Coloro che compiono violenza  usano anche frasi di humour, di ironia,  commenti sarcastici che vanno dritti ai punti deboli di colui che la subisce.

Il fine diventa quello di indurre emozioni come paura, colpa, vergogna, senso di difettosità, per sottomettere l’altro al proprio volere.

La forma più indagata di abuso verbale si riferisce al comportamento verbalmente abusante di genitori nei confronti dei figli, soprattutto bambini e minori.

La violenza verbale durante l’infanzia mina l’autostima dei più piccoli e spesso, come genitori,  non siamo coscienti delle effettive conseguenze di questo aspetto.

È molto importante, come adulti, fare attenzione a quello che diciamo ai nostri figli, è fondamentale dunque verificare la forma comunicativa e, soprattutto, il modo in cui presentiamo loro gli errori.

Potremmo affermare che la comunicazione verbale costituisce per sé stessa un ambiente per la persona, che diventa tanto più fondamentale nel caso di bambini e adolescenti: come tutti gli ambienti, se è sano favorisce uno sviluppo ottimale, se malsano il contrario.

Perchè la violenza verbale durante l’infanzia lascia così fortemente i propri segni?

Il motivo per cui la violenza verbale lascia un segno significativo nella fase di sviluppo risiede nel fatto che l’infanzia è un momento molto critico della fase evolutiva. Il sistema nervoso e il cervello sono molto vulnerabili a qualsiasi stimolo dell’ambiente circostante,  studi diversi riportano che la violenza verbale può provocare disturbi dell’attenzione e della memoria, difficoltà di linguaggio e sviluppo intellettivo dei soggetti colpiti.

Ulteriori ricerche su questa tipologia di maltrattamento infantile indicano come determinate modalità comunicative “violente” favorirebbero l’instaurarsi di uno stile cognitivo negativo nel bambino e nell’adolescente, che faticosamente riuscirà ad abbandonare durante la crescita.

Con stile cognitivo negativo si intende  la percezione di sé connotata da mancanza di valore personale e una forte tendenza all’ipercriticismo, che generalmente limita di molto la capacità di realizzazione e affermazione della vittima.

Nel caso della violenza e degli abusi verbali, l’adulto fornisce tramite il linguaggio e, dunque, in maniera diretta le convinzioni disfunzionali che faranno da mattoni nella costruzione dell’autostima del bambino/vittima. O meglio, facilitando la sua non costruzione.

Perchè la violenza verbale durante l’infanzia sembra più presente di quanto dovrebbe? Spessissimo la giustifichiamo dicendo che stiamo “insegnando” o “educando” meglio che possiamo.

Molti genitori non sanno come educare i propri figli in altro modo che non sia quello di sottolineare sempre ciò che fanno male. Al contrario, quando fanno bene qualcosa non lo sottolineano affatto, perché considerano la cosa scontata.

Tuttavia, in una fase così delicata come l’infanzia, concentrarsi solo sugli aspetti negativi ha gravi conseguenze. La maggior parte delle volte poi, non soltanto si sottolinea ciò che un bambino fa male, ma si fomenta anche il senso di colpa per aver fatto arrabbiare i genitori. A questo, dobbiamo sommare la cattiva scelta delle parole per esprimere questi messaggi.

Paragonare un bambino a un altro o definirlo con un “sei stupido” può sembrare un aspetto di poco conto,tuttavia, può lasciare un segno incancellabile nella mente di ogni bambino, soprattutto se attuato con ricorrenza e pervasività.

Non trascuriamo che l’infanzia è il momento in cui si costruisce la propria identità. Un’identità piena di “non valgo nulla”, “deludo sempre i miei genitori”, “non faccio niente di buono”, “sono uno stupido” gli impedirà di costruire una solida autostima.

Imparare a comunicare in modo positivo è indispensabile. Non vogliamo i bambini in adulti insicuri, tristi, che si credono incapaci e che, alla fine, si metteranno limiti che in realtà non hanno. Va sempre considerato quanto sono davvero potenti le parole e quanto rappresentano una notevole fonte di stress se sono dispregiative, un fattore predisponente al malessere psicologico.

In sostanza, se la parola è costruttrice di realtà, prima di tutto – e prima di parlare – dovremmo capire quale realtà intendiamo costruire, di quale messaggio vogliamo farci portatori e come questo messaggio potrebbe essere recepito da un eventuale interlocutore.

Prenderci in carico la responsabilità delle nostre parole, che solo parole non sono, soprattutto quando sono rivolte a chi si fida di noi.

 

Autore © Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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