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Effetto placebo: quanto contano le aspettative per la salute?

Iniziamo con il raccontare un esperimento che ha coinvolto il campo della moda, in cui si dimostra che il prezzo di un abito non viene sempre giustificato dalla maggiore qualità del tessuto; l’esperienza sul campo documenta che non è sempre così e molto spesso la vera differenza la fa la griffe o la vetrina illuminata e colorata.

Per illustrare ciò basta testare un abito , come si fa con un farmaco, per vedere se ciò che produce piacere è proprio il taglio del vestito o piuttosto se sono le luci della vetrina a fare la differenza. In una ricerca di questo tipo, in un primo esperimento sono state lasciate le etichette originali (di marca e non), in modo tale che fosse possibile riconoscere la provenienza dei vestiti. Di 100 donne a cui era stato chiesto di valutare stile, eleganza e comodità, 88 hanno scelto quello firmato. In un secondo esperimento, le etichette sono state eliminate al fine di non far riconoscere l’abito firmato. In questo caso solo 56 donne hanno scelto il vestito di marca. In un terzo esperimento, le etichette sono state scambiate in modo tale che ora l’abito firmato risultasse quello acquistato al mercato e viceversa. In questo caso, solo 9 donne hanno scelto l’abito firmato ma con l’etichetta del banco di mercato.

Che cosa è avvenuto in questi tre esperimenti? La risposta è abbastanza semplice. Così come l’efficacia di un farmaco può essere modulata dalle aspettative del paziente, così la bellezza di un vestito può essere modulata dalle aspettative di chi lo guarda. Pertanto, possiamo affermare che la percezione positiva dell’abito firmato era semplicemente un effetto placebo.

La maggior parte delle persone ha sentito parlare dell’ “effetto placebo”, ovvero l’effetto “curativo” sperimentato da  individui che credono di assumere un nuovo farmaco o trattamento, ma in realtà usufruiscono di un fake. La buona notizia è che l’effetto placebo è reale e può funzionare in percentuali che variano tra il 18 e l’80%: è in grado di dilatare i bronchi, riparare le ulcere, far scomparire le verruche, abbassare la pressione sanguigna  e persino far ricrescere i capelli.

“Pensare che un qualcosa possa farci star bene indurrebbe un reale miglioramento psico-fisico: in psicologia questo effetto si definisce placebo”

 

L’effetto placebo è quell’effetto per cui le tue aspettative influenzano le reazioni del tuo corpo, il suo effetto è tanto più potente quanto più si è convinti che il rimedio funzionerà. Già nel secondo secolo dopo Cristo, il medico greco Galeno aveva intuito che un dottore guarisce meglio i pazienti quando questi hanno più fiducia nelle sue cure. Non è un caso che la maggior parte delle terapie sviluppate nei secoli passati erano prive di una reale azione curativa che non fosse quella del placebo.

Va sottolineato però che il placebo (da solo) non può affatto curare tutto! Un altro punto importante consiste nel fatto che non tutti i soggetti rispondono a un trattamento placebo.

L’ effetto placebo è stato per anni uno degli alleati di medici e professionisti della salute, anche per consentire loro di discernere tra malattie gravi e disturbi più lievi.

È noto che qualsiasi rimedio farmacologico dimostrato ha due effetti terapeutici: un effetto farmacologico vero e proprio, legato al principio attivo contenuto nel farmaco, e un effetto placebo, legato al fatto che l’idea di assumere una sostanza con potere curativo ha di per sé un potere curativo.

L’effetto placebo c’è sempre, ed è in genere molto rilevante e non raramente più potente dell’effetto farmacologico in sé. Ogni farmaco perciò si porta dietro tale effetto.

Negli studi scientifici per valutare l’efficacia di un farmaco si prende un gruppo di persone e si dividono a caso in due gruppi. A un gruppo viene dato il vero farmaco e all’altro il placebo, che si presenta esattamente come il primo. La differenza è che il placebo non contiene il farmaco, ma solo sostanze inerti – ovvero che non vengono ‘digerite’ e utilizzate dal corpo.

In questo modo vedendo la differenza tra gli effetti di chi ha assunto il farmaco e chi il placebo possiamo stimare il vero effetto e potenziale efficacia del farmaco.

L’effetto placebo è un fenomeno molto più comune di quanto si possa pensare; ad esempio, nelle patologie a rilevante componente psicosomatica – come emicraniainsonniacolon irritabileansia e cefalea – la somministrazione di placebo determina un miglioramento della patologia nel più del 50%  dei casi. Minore, ma comunque importante, è il successo del placebo nelle affezioni organiche. Persino certi interventi chirurgici fittizi hanno dimostrato di produrre effetti benefici. Anche la chirurgia, quindi, può costituire un potente placebo e dare risultati positivi indipendenti dall’atto chirurgico in sé.

Riporto di seguito un insolito esperimento (raccontato su un noto quotidiano italiano www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/10/effetto-placebo-il-niente-che-cura/837518/ ) che misurava la reazione di alcuni soggetti al caffè. A tre gruppi di persone è stato somministrato rispettivamente caffè normaledecaffeinato e decaffeinato presentato come normale (quindi mentendo, era caffè con caffeina). A tutti i soggetti sono stati misurati i parametri fisici (pressione, frequenza cardiaca…) e le reazioni (attenzione, reattività) del corpo, ovvero i parametri che la caffeina in genere riesce ad alterare.

Risultati? I parametri sono stati significativamente aumentati solo nel gruppo che ha assunto caffè decaffeinato, ma convinto di bere caffè normale. Gli altri gruppi avevano tutti parametri vari ma non particolarmente aumentati. Strano ma vero, la mente è stata più efficace di una sostanza chimica.

Non deve sorprendere, dato che accade anche con i farmaci “normali”. Ribadiamo che la capacità di “curarsi con nulla” è conosciuta dall’antichità. La vecchia medicina, che aveva pochissime armi per sconfiggere le malattie, utilizzava il placebo ed i suoi “rinforzi” proprio a questo scopo. Qualcuno ricorderà pure  le “punture ricostituenti” che ci tormentavano da bambini.

Secondo uno studio del 2017 condotto dall’Università di Oxford, il placebo può avere effetti benefici anche quando il paziente sa che quello che sta assumendo non è un vero farmaco. In questi casi, la semplice affermazione: “non contiene alcun principio attivo, ma in alcuni casi abbiamo osservato comunque dei miglioramenti” è stata in grado di generare un livello di suggestione tale nel paziente, da indurre reali modificazioni fisiologiche, come per esempio la produzione di endorfine antidolorifiche.

D’altronde i motivi, per i quali ancora oggi si guarisce da una malattia sono sostanzialmente tre:

  1. Remissione spontanea
  2. Effetto Placebo(l’aspettativa positiva del paziente scatena nel suo organismo una reazione che innesca processi che lo guariscono)
  3. Guarigione farmacologica(l’effetto di specifici farmaci su specifici organi coadiuvato dall’aspettativa positiva di guarigione del paziente)

 

L’EFFETTO  PLACEBO NON é UNA SEMPLICE RISPOSTA PSICOLOGICA, MA UNA REAZIONE BIOLOGICA COMPLESSA

Se dal punto di vista psicologico il paziente sottoposto a placebo reagisce positivamente alla terapia, il suo sistema nervoso, come abbiamo detto, libera specifiche sostanze endogene dalle proprietà auto-curative.   L’attesa di un miglioramento causa il rilascio nell’organismo di sostanze “terapeutiche”, come le endorfine e l’adenosina (antidolorifiche) o la dopamina.

Nel mondo animale le più importanti ricompense che inducono il piacere sono il cibo e il sesso (nel caso dell’uomo c’è anche il denaro). Sia cibo che sesso che denaro vanno ad attivare una regione del cervello, il nucleo accumbens, nel quale viene rilasciata gran parte del neurotrasmettitore dopamina. Ora c’è una stretta correlazione fra l’entità della ricompensa e l’attivazione del nucleo accumbens: una ricompensa di 10 euro stimola il rilascio di un po’ di dopamina… ma una ricompensa di 100 ne stimola di più. Quando si somministra un placebo, l’aspettativa di beneficio terapeutico stimola il nucleo accumbens come fanno cibo, sesso e denaro. Nel caso della terapia, la ricompensa è il miglioramento. A questo punto, appare chiaro come funziona il nostro cervello: il paziente sta male, gli viene dato un placebo, egli si aspetta un miglioramento, il suo nucleo accumbens si accende e rilascia dopamina che a sua volta attiva le vie biochimiche che inibiscono il dolore e quindi sta meglio.

Dati evidenziano come l’effetto placebo attivi specifiche aree cerebrali. Da un lato, l’aspettativa modifica l’atteggiamento che la persona ha verso i sintomi di cui soffre e verso la malattia che li sottende. Questo significa che si modificano milioni di neurotrasmettitori nel cervello: se l’aspettativa è positiva  aumentano i neurotrasmettitori che mediano le sensazioni complesse di piacere e dolore e si riducono invece quelli coinvolti nell’ansia e nelle risposte di stress, che il cervello vive di fronte allo stimolo dolorifico.

Lo stesso sistema immunitario è fortemente influenzato dallo stato psicologico del soggetto, per non parlare poi del cortisolo e di altri ormoni strettamente dipendenti dai livelli di stress.

Ad ulteriore dimostrazione del fatto che l’effetto placebo implichi l’intervento di uno stato mentale, evidenze empiriche mostrano che non si ottiene l’effetto placebo per chi non può avere una credenza mentale: sonno profondo, coma, oppure quando la somministrazione è fatta di nascosto. Insomma, se le aspettative non ci sono, l’effetto terapeutico è ridotto, mentre un  farmaco vero agisce indipendentemente dalla mente, agisce con meccanismi chimici che sono indifferenti a qualunque credenza o desiderio si possa provare. Altro esempio: antidolorifici che a determinate dosi sembrano essere efficaci, diventano totalmente inefficaci se somministrati di nascosto. Questi dati dimostrano chiaramente che le aspettative di miglioramento e di guarigione svolgono un ruolo essenziale nella risposta a una terapia. Se le aspettative non ci sono, l’effetto terapeutico è ridotto.

Fra tutti gli effetti determinati dai  farmaci inerti il più evidente riguarda di certo il trattamento del dolore. L’effetto placebo è sostanzialmente un effetto psicologico, ed il dolore è anch’esso un’esperienza molto soggettiva fortemente influenzata dai fattori psicologici, perciò molto sensibile alla risposta placebo. Infatti, nella percezione del dolore non è importante solo il segnale che proviene da una lesione in qualche parte del corpo, ma anche lo stato psicologico, emotivo e cognitivo. Fattori come l’attenzione, la distrazione, l’ansia, la paura e la depressione modulano la percezione dolorifica con diversi meccanismi. Quindi l’esperienza del dolore varia in base allo stato psicologico del soggetto.

Nel cervello non esiste un centro del dolore. Diverse aree e regioni cerebrali sono attive durante la percezione dolorifica, creando un complesso sistema che modula la percezione dolorifica inibendola o amplificandola a seconda delle situazioni. Ad esempio, l’attenzione verso una parte lesa del corpo amplifica il dolore, la distrazione invece lo riduce. E’ noto che certe lesioni traumatiche o ferite, se provocate durante competizioni agonistiche o azioni di combattimento non vengono quasi avvertite, mentre in altre situazioni risulterebbero assai dolorose.

Ciò che è determinante per evocare l’effetto dato dalla somministrazione dei placebo non è di per sé la sostanza inerte utilizzata: quello che conta è il significato simbolico ed il contesto in cui vengono somministrati. Il placebo, infatti, viene somministrato nell’ambito di un complesso contesto psicosociale fatto di parole, comportamenti, attitudini del personale sanitario, ambiente ospedaliero. Non esiste, perciò, un solo meccanismo che causa l’effetto placebo, ma tanti.

I FATTORI COINVOLTI

Numerosi sono i fattori che concorrono all’entità dell’effetto placebo. Ad esempio:

  • Il condizionamento(legato a precedenti esperienze: per esempio sapere che quel medico ha guarito un amico aumenta l’effetto placebo);
  • Due capsule sono più efficaci di una;
  • Un placebo iniettabile è più efficace di uno orale;
  • La compressa grandeè più efficace della piccola;
  • Sapori amari, salati o saporiti producono effetti superiori rispetto ai sapori insipidi.
  • Colore della compressa, per esempio l’azzurro e il verde tenue aiutano in caso di ansia, depressione e disforia;
  • Il nome di un farmaco. L’aloperidolo veniva venduto nel suo nome commerciale Serenase affinché le persone subivano l’effetto calmante di quest’ultimo.
  • Grado di scolarizzazione: i pazienti, i più scolarizzati e più autosufficienti, con elevata abitudine alla gestione delle responsabilità, risultavano maggiormente rispondenti al placebo;

Howard Brody nel 2000 dà una nuova definizione di effetto placebo: «un cambiamento del corpo o della mente che avviene come risultato del significato simbolico che viene attribuito a un evento o a un oggetto in ambito sanitario». In altre parole, quando si somministra un placebo, che è sì una terapia finta ma carica di significato simbolico, si inducono aspettative positive di benessere e guarigione. E queste aspettative sono capaci di plasmare il corpo in modo tale da produrre effetti benefici.

A pensarci bene, essere fiduciosi è un enorme vantaggio evolutivo ed è legato alle relazioni di cura reciproche che sono diffuse tra i primati e fondamentali per gli esseri umani. Nelle savane africane, 150.000 anni fa, sentire meno dolore perché qualcuno si prendeva cura di noi è stato un enorme vantaggio. Il placebo quindi è strettamente legato alla nostra vita di relazione,  ci lega gli uni agli altri,  è veicolato dalle nostre appartenenze e senso di comu ità.

CONCLUSIONI

La scienza moderna non guarda più al placebo solamente come la pillola finta.

È sicuramente interessante scoprire quanto i nostri pensieri e la nostra mente giochino dei ruoli fondamentali nella nostra vita. Anche la forma più inconscia di ragionamento, spesso cela delle potenzialità immense.

Trovare un equilibrio tra mente e corpo, tra pensieri e intenzioni, è alla base del proprio benessere. L’effetto placebo è la prova scientifica di come il nostro cervello influenzi il nostro star bene.

Un’azione terapeutica veramente efficace non può limitarsi all’aspetto biochimico della malattia, ma riguarda il paziente in modo olistico.

Riassumendo, l’effetto placebo non è remissione spontanea, non è ambiguità nel riportare il sintomo, non è il compiacere lo sperimentatore, non è un fenomeno statistico, né l’effetto di un trattamento concomitante.

L’effetto placebo vero è dunque quella componente psicologica del paziente che è attivata dal rituale dell’atto terapeutico. In altri termini, parole e rituali di cura inducono nel paziente fiducia, aspettative, speranze, e queste a loro volta possono produrre cambiamenti nella percezione di un sintomo.

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Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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(1 Commento)

  • Fabio seimandi

    Bell’articolo, che potenzialmente avrebbe potuto essere spinto un poco più in là nelle sue conclusioni. Peccato non avere citato i lavori di Kirsch et Coll., imprescindibili a mio avviso.

  • Rispondi a Fabio seimandi Annulla risposta

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