Viale Montegrappa 22, Grottammare / Corso Umberto I, n. 18, Civitanova Marche

L’IGNORANZA NEL BUDDHISMO

L’ ignoranza è la radice di ogni sofferenza del samsara.
Il termine sanscrito, avidya [Tib: ma-rig-pa], significa “non vedere” e implica un’oscurazione della mente. Spiegare con precisione che cos’è questa ignoranza e come funziona richiede molto tempo ed energia, quindi concentriamoci sui principi generali.
Quando andiamo agli insegnamenti, per esempio, diciamo a noi stessi “Oggi andrò ad ascoltare gli insegnamenti”. Ogni volta che pensiamo in questo modo, abbiamo una certa concezione del nostro “io” o “sé”.
Il buddhismo chiama questo senso di un sé “ego”. Il nostro ego è sempre con noi e diventa più evidente in certe occasioni, quando incontriamo circostanze molto favorevoli o, al contrario, grandi difficoltà. In questi momenti, il nostro senso di un sé diventa più intenso e visibile del solito.
Ognuno di noi è soggetto alla propria concezione dell’io.
Possiamo comprenderlo facilmente dalle nostre esperienze quotidiane, senza bisogno di lunghi ragionamenti teorici.
Ogni volta che il nostro concetto di ego sorge molto forte, ci afferra come se esistesse in noi qualcosa di molto solido, molto vivido e totalmente incontrollabile. Questo è il modo in cui il falso io ci afferra.
Tuttavia, è importante verificare se questo “io” esiste davvero così come ci appare. Se lo cerchiamo dentro di noi, dalla testa fino ai piedi, arriveremo alla conclusione che né il nostro corpo fisico né alcuna delle sue singole parti può servire come base di quell’ “io” che in certe circostanze sorge così fortemente.
Niente nel nostro corpo può essere l’io. Le nostre membra, i nostri organi e così via sono soltanto parti del corpo che, in un certo senso, le “possiede”.
Se analizziamo la nostra mente allo stesso modo, scopriremo che non è altro che un flusso di pensieri e fattori mentali diversi e arriveremo alla conclusione che niente nella mente è l’”io” che concepiamo. Inoltre, poiché non c’è un’entità separata, fuori dal nostro corpo o dalla nostra mente, che possa rappresentare l’io, possiamo concludere che il sé che sentiamo normalmente non esiste.
Se meditiamo in questo modo, comprenderemo che è vero che l’io è introvabile. Tuttavia, questo non significa che non esistiamo affatto.
L’inesistenza non può essere la risposta corretta, perché stiamo analizzando il modo in cui esistiamo. In realtà, la spiegazione è molto sottile.
Non esistiamo semplicemente come suppone la nostra mente ignorante, né “non esistiamo”. Comprendere la vera natura dell’io richiede un addestramento approfondito e una pratica di meditazione intensa. Il fattore mentale che sostiene la visione sbagliata e fabbricata di un sé è ciò che il buddhismo chiama “ignoranza”, il primo dei dodici legami di origine interdipendente. Tutte le altre afflizioni mentali, come l’attaccamento a noi stessi, ai nostri amici, ai nostri beni e all’avversione verso persone e cose estranee a noi, poggiano sul fondamento di questo falso concetto di sé.
Dedicato al beneficio di tutti gli esseri senzienti.
fonte: https://www.facebook.com/groups/2389351874476470/

Leave a Comment

(0 Commenti)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close