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I DANNI DELL’ALCOL AGLI ALTRI: genitori alcolisti e figli due volte vittime

Quando si parla di alcolismo l’attenzione viene posta primariamente sul soggetto colpito da tale dipendenza e quindi sul suo comportamento compulsivo.

Questo, però, rischia di essere riduttivo, in quanto l’alcolismo è una patologia che inevitabilmente affligge tutta la famiglia della persona affetta da dipendenza; tutti i membri ne sono coinvolti, sviluppando comportamenti disfunzionali e conseguenze più o meno gravi.

In particolar modo, va data la giusta attenzione ai figli di alcool-dipendenti, che vivono pienamente la difficile circostanza e appunto negli ultimi anni è cresciuto in letteratura l’interesse scientifico per i “danni dell’alcol agli altri” (Greenfield at al., 2009), cercando di andare meglio a valutare le possibili lesioni ai figli derivanti dal consumo di alcol da parte dei genitori.

Dopo il malato, le principali vittime dell’alcol sono dunque  i figli. Essi sono le persone più a lungo esposte, quelle più indifese, quelle senza o quasi possibilità di fuga, le più colpite e marchiate dall’alcol, le più a rischio di diventare esse stesse vittime.

L’abuso da parte della figura genitoriale può portare a molte conseguenze negative per la prole come problemi cognitivi, emotivi, comportamentali e problemi di salute mentale in età adulta (Bountress & Chassin, 2015).

Quasi sempre i figli degli alcolisti crescono in un ambiente in cui predomina il caos. Anche se gli effetti dipendono dalla gravità della dipendenza e da altri fattori specifici all’interno di ogni singola situazione, generalmente un  genitore alcolista lascia dei traumi nella mente del figlio\a: ciò che varia è l’intensità di questi.

Tali traumi non sono sempre facili da individuare, si insidiano nella personalità dell’individuo e molte volte si traducono in atteggiamenti apparentemente innocui o naturali. Tuttavia, nel profondo, c’è una ferita che, prima o poi, dovrà essere curata.  

Partiamo con il considerare che in una famiglia in cui c’è un problema connesso all’uso di alcol spesso si modificano ruoli e funzioni: i figli si prendono cura emotivamente e fisicamente dei propri genitori, gli equilibri famigliari diventano complessi e fonte di sofferenza per tutti.

Per esempio i figli si devono trasformare nei clown di famiglia, che si occupano del tirar su il morale al genitore, per ottenere piccoli attimi di felicità che solo in quel modo possono procurarsi. Sul figlio grava l’umore del padre o della madre e nel tempo la dinamica si mantiene: quando c’è qualcosa che non va in famiglia il genitore debole e problematico finisce per  accedere al figlio\a come se fosse il suo rifugio personale, mentre l’altro subisce questa cosa e  non sa difendersi da essa. Succede spesso che il figlio sia abbandonato a sé stesso e debba addossarsi compiti non adatti alla sua età: occuparsi dei fratelli e delle sorelle, assumere responsabilità da adulti o svolgere addirittura il ruolo del genitore.

Avendo ricevuto ben poco autentico affetto, il ragazzo cerca di sublimare questo bisogno disatteso per interposta persona, offrendo le proprie cure all’altro;  abituati alla scarsità di amore nei rapporti personali, ci si rende disponibili ad aspettare, sperare, e a continuare a sforzarci di piacere, per poter ambire ad essere ricambiati e per non sentirsi in colpa nei confronti del genitore bisognoso.

I figli  vedono, osservano, capiscono, ma soprattutto soffrono. Vedono il genitore bere, ne percepiscono il cambiamento di umore, la vedono dormire e restano abbandonati pericolosamente a se stessi o assumo, come già detto, il ruolo di “angelo custodi”; oppure vedono rincasare il padre o la madre sotto gli effetti dell’alcool, “nervosi”, litigiosi o violenti. Assistono a troppe liti in famiglia e soprattutto vivono con un genitore che non c’è, che è assente, che non soltanto non si occupa di loro, ma non gioca con loro e neppure semplicemente li ascolta. I figli osservano e per lo più tacciono, per non scatenare conflitti,  e non di rado si sentono responsabili di non fare abbastanza per il proprio familiare.

In clinica è risaputo che una relazione stabile con il genitore sano o con un altro adulto di fiducia, come pure il rispetto di regole di vita (ore dei pasti, del coricarsi,…) e di rituali familiari (attività, feste), sono elementi che influiscono in modo positivo proteggendo il bambino, garantendogli il diritto di essere aiutato a qualunque età.

Di contro il genitore alcolista è inaffidabile, incoerente e imprevedibile. Il suo comportamento non offre mai un senso di sicurezza e di coerenza, che consenta ai figli di crescere positivamente e senza troppa incertezza. un alcolista è imprevedibile: un giorno può essere amorevole e il giorno dopo trasformarsi in un estraneo che intimorisce e confonde i propri figli. I bambini non sanno mai cosa aspettarsi da lui.

Di conseguenza la maggioranza dei ragazzi che si trovano in una situazione simile, soffre di abuso emotivo e porta con se vissuti rabbia inespressa e mancanza di fiducia nel prossimo. Molti imparano a diventare, crescendo, totalmente autosufficienti e senza bisogni particolari, per evitare che qualcuno altro li deluda o abbia di nuovo potere su di loro.

Poiché il comportamento di un alcolista è irregolare e imprevedibile, la disponibilità e la fiducia  vengono dai figli, per reazione, considerate troppo rischiose. I ragazzi crescono in una paura continua e imparano a stare in guardia per qualunque possibile segno di pericolo, vivendo in uno stato d’ansia costante; possono diventare ipervigilanti e diffidenti.

A casa, tutto viene vissuto nell’insicurezza, nell’instabilità, giorno dopo giorno, spesso in un clima di emergenza. Le promesse vengono raramente mantenute, i pareri cambiano di continuo, i limiti fluttuano. Tutto si articola intorno al bere o al non bere. Prevedere è impossibile e, non sapendo mai quello che succede a casa, nei figli si struttura uno stato d’angoscia di fondo, in quanto si è esposti continuamente a comportamenti incorenti e contraddittori:punizioni e ricompense  comprese.

I ragazzi che crescono in un ambiente dove si abusa dell’alcol è più probabile infine che vivano brutte esperienze infantili rispetto ai compagni con genitori non etilisti, esperienze del genere abusi fisici o sessuali o separazioni traumatiche.

Molti figli di alcolisti sviluppano sintomi da PTSD – sindrome da stress post-traumatico, con ricordi dolorosi e flashback simili a quelli di un veterano di guerra.

Questi ragazzi, da adulti presenteranno spesso un deficit importante nella stima di sé, un bisogno enorme di tenere tutto sotto controllo, prevedere tutto, anticipare tutto per rassicurarsi, un diniego dei propri bisogni e delle proprie emozioni e forti dubbi sulle proprie capacità. 

Il bambino o il ragazzo sviluppa ben presto un grande senso di vergogna ed un sentirsi diverso dai suoi coetanei. Egli si confronta continuamente con i suoi pari e vede negli altri una realtà, un mondo, una famiglia completamente diversa dalla propria e si sente umiliato, si nasconde. Egli continua a vivere in una realtà che cela agli altri portandosi dentro un gran segreto: un segreto che, via via negli anni, diventa sempre più oneroso sostenere.

Il figlio di un alcolista non invita amici a casa propria perché non sa mai cosa accadrà. Come tornerà a casa il padre o come si presenterà la madre davanti ai suoi compagni. Non sa e perciò teme ciò che gli altri potrebbero scoprire.

Il ragazzo diventa presto adulto. Non ha possibilità nè tempo di fare a lungo il bambino. La sofferenza lo fa crescere in fretta; non può essere accudito, perché deve accudire; non può parlare di sé, perché non trova ascolto; non può tanto giocare perché non è sereno.

Contemporaneamente, anche se si  confrontano quotidianamente con tutto quello descritto, i sentimenti di lealtà e affetto verso la sua famiglia, e il desiderio di proteggerla, rimane prioritario ed il bambino tende a tacere la situazione, portando con sé questa sofferenza.

Di quale amore si alimenta un figlio di alcolista? In genere di surrogati dell’amore, e finisce per credere ed appoggiarsi a qualcosa che non è amore sano.

Come aiutare un bambino che vive in una famiglia con problemi d’alcol?

Affrontare, con parole semplici, la malattia del genitore, riconoscere al bambino il suo vissuto difficile e pesante, e deresponsabilizzarlo rispetto alla situazione.

Rafforzare l’auto-stima, offrirgli uno spazio dove possa essere bambino, aiutarlo a sviluppare le competenze per affrontare le difficoltà (capacità di risoluzione dei conflitti). – Permettergli di sviluppare un legame affettivo stabile al di fuori della famiglia (adulto di fiducia). – Consigliarlo rispetto la sua sicurezza: come, quando e a chi chiedere aiuto (ad es. segnare su un biglietto un numero di telefono d’urgenza in caso di bisogno).

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Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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