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Esperienze Infantili Avverse, cosa sono e cosa determinano

Se è vero che il materiale genetico guida la disposizione al neuro-sviluppo, i fattori ambientali ne determinano il risultato finale.

Durante determinati periodi critici, in cui il cervello è più reattivo, esperienze sfavorevoli possono facilmente provocare una costante attivazione dei sistemi di risposta allo stress. L’attivazione frequente di questi sistemi induce cambiamenti fisiologici e funzionali che possono essere durevoli nel tempo e determinare il nostro stato di equilibrio futuro.

I primi anni di vita giocano quindi un ruolo critico nello sviluppo della persona influenzando la sua salute fisica e mentale, vale a dire che le esperienze vissute nell’infanzia, in particolare in ambito familiare, possono segnare la nostra evoluzione in senso globale.

Molti studi in campo medico e psicologico hanno di fatto confermato che le esperienze negative vissute durante l’infanzia hanno un impatto a lungo termine sia sullo sviluppo cerebrale degli individui, e sulla loro salute mentale.

Gli eventi stressogeni nei primi anni d’infanzia vengono conservati per tutta la vita, come impronte sul cemento fresco. Il tempo da solo non cura le ferite che avvengono in quei primi anni: le nasconde solamente. Il ruolo degli eventi traumatici in infanzia è stato già riconosciuto, ma attualmente si sta attribuendo ad essi una importanza sempre maggiore: la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ricordato: “L’esposizione a eventi stressanti in giovane età è un fattore di rischio accertato per l’insorgere di disturbi mentali che potrebbero essere arginabili.”

Prima di tutto, lo stress cronico (conseguenza dell’evento ad impatto traumatico) è in grado di modificare l’espressione dei nostri geni, producendo dei cambiamenti nell’architettura funzionale delle connessioni cerebrali degli individui e nella modalità futura di risposta ad eventi stressogeni, che è mediata dal sistema nervoso, da quello endocrino e immunitario, favorendo così l’insorgenza effetti a lungo termine.

Uno dei primi e più importanti studi su larga scala che ha accertato la relazione esistente tra eventi di vita e salute è lo Studio ACE (Esperienze Infantili Avverse). Lo studio rappresenta una delle più importanti indagini longitudinali fin’ora condotte sulle connessioni tra maltrattamenti e vulnerabilità di salute in età adulta dando il via a un programma di ricerca ancora in atto: l’obiettivo è quello di fornire analisi più precise sull’effetto delle esperienze traumatiche vissute nei primi anni di vita per quanto riguarda l’insorgenza di conseguenze mentali.

Il termine ACE è l’acronimo dell’inglese – adverse childhood experiences – “esperienze infantili avverse” . Per “Esperienze Infantili Avverse” si intendono esperienze vissute all’interno del contesto familiare prima dei 18 anni e riguarda tutte quelle esperienze traumatiche o molto stressanti che possono interferire con i normali processi di sviluppo. IL principale merito dello studio ACE è stato quello di aver sottolineato l’importanza di esperienze traumatiche meno “visibili” rispetto a terremoti, incidenti e guerre, ma non per questo meno impattanti sulla salute.

Il trauma è una risposta del corpo e della mente a un evento altamente angosciante che può causare una forte emozione negativa, negazione e dolore (non è quindi l’entità dell’evento in sè a determinare un trauma).

I ricordi di quella nostra esperienza traumatica possono causare uno stress emotivo debilitante che interferisce con le normali attività e le relazioni significative. Il trauma può derivare da un singolo evento o da esperienze multiple, continuative o prolungate.

Le differenti categorie di “esperienze avverse” dello studio ACE concernono aspetti di abuso, elementi disfunzionali dell’ambiente familiare e fattori di trascuratezza.

Nello specifico: abusi (abuso emozionale minacce, umiliazione – abuso fisico percosse, contatto sessuale), ambiente domestico disfunzionale ( madre trattata in modo violentomembro della famiglia (convivente) con problematiche di dipendenza – membro della famiglia (convivente) incarcerato, membro della famiglia (convivente) depresso cronico, suicida, malato mentale o ricoverato in ospedale psichiatrico – non essere allevato da entrambi i genitori biologici,) trascuratezza (fisica – emozionale).

In questi ultimi anni si è creata maggior attenzione e ricerca non solo sull’abuso e il maltrattamento, ma anche sulla trascuratezza fisica ed emozionale e sull’esposizione a violenza domestica. Simile alle violenze fisiche e agli abusi sessuali, anche il maltrattamento psicologico è risultato particolarmente distruttivo in quanto aumenterebbe nelle vittime il rischio di sviluppare problemi di salute fisica e mentale.

Gli individui che sono stati esposti a tali esperienze avverse comunemente sono vissuti e cresciuti in contesti relazionali emotivamente inadeguati e deficitari, al punto che i loro caregivers (figure affettive familiari e non) non sono stati in grado di supportarne adeguatamente lo sviluppo delle competenze e delle abilità di regolazione emotiva.

Dallo studio emerse che le esperienze infantili avverse risultavano molto diffuse; nel campione indagato il 64% aveva segnalato almeno una categoria di esperienze avverse, un quarto del campione ne aveva segnalate più di una (fino a 4). Il 28% dei soggetti aveva subito abusi fisici, il 21% aveva sofferto abusi sessuali, il 19% era cresciuto in una famiglia in cui un membro soffriva di una malattia mentale.

É stato altresì stimato che in un solo anno un miliardo di bambini (di età compresa tra 2 e 17 anni) vengono esposti a qualche forma di trauma.

Maggiore era il numero di ACE riportate, maggiore il rischio di sviluppare diversi tipi di patologie mentali.

D’altronde il trauma debilita e depotenzia, riuscendo a perpetrarsi nel tempo, immutabile e devastante, così come nel suo impatto. La difficoltà a risolvere le situazioni traumatiche e la tendenza a riviverle nelle sensazioni, nelle immagini e nelle azioni, si riflettono biologicamente nel considerare stimoli fisiologici innocui alla stregua di minacce potenziali”.

Gli effetti dell’evento traumatico possono venir amplificati da fattori soggettivi o ambientali (relativi al contesto in cui lo stesso si verifica), tuttavia anche la durata, la frequenza e l’intensità dell’evento costituiscono potenziali fattori accrescitivi della sua gravità.

Subire un evento fortemente stressogeno singolo non equivale a subirlo continuamente, per mesi o anni, perciò un evento traumatico in età infantile comporta conseguenze più difficili da fronteggiare, soprattutto ove si verifichi all’interno delle mura domestiche. Un trauma sofferto precocemente e perpetrato per lungo tempo – oltretutto ad opera di figure affettivamente rilevanti – costituisce un elemento d’ostacolo o addirittura di impedimento – del processo di maturazione emotiva.

Il trauma precoce interviene prima che sia stato interiorizzato un oggetto affettivo attendibile e sicuro, perciò il bambino traumatizzato si sente tradito da quelle stesse persone che avrebbero dovuto tutelarlo: questo lo colloca in una situazione di angoscia senza nome, un’impotenza inconfessabile e paralizzante.

In età infantile le strutture cerebrali subiscono una trasformazione radicale che si completerà durante l’adolescenza, a questo stato evolutivo il trauma sostituisce una condizione involutiva, regressiva, di blocco. Tali conseguenze biologiche si originano anche in presenza dei cosiddetti traumi semplici da distinguere dai traumi complessi, definendo questi ultimi il frutto di una serie ininterrotta di eventi svantaggianti il cui effetto disfunzionale è dato da una perpetrazione continuata nel tempo.

I traumi complessi manifestano un effetto disadattivo in modalità cumulativa che compromette la capacità di sopportazione, poiché il soggetto in questione ha fatto esperienza precoce di eventi traumatici molteplici, cronici e prolungati, soprattutto a livello interpersonale, somministrati nel suo contesto familiare.

Ogni deficit affettivo, ogni esperienza abbandonica, deprivante o ancor peggio abusante che si verifica in questa fase, rischia di portare il bambino in una dimensione fortemente svantaggiata, il cui riverbero dannoso può manifestarsi a distanza di lungo tempo. Ma non si tratta di un effetto improvviso, poiché il danno di un vissuto traumatico complesso si insedia gradualmente nel benessere psicofisico, compromettendone la stabilità giorno dopo giorno, con lentezza distruttiva.

Lo stress dell’evento traumatico lavora silenziosamente riuscendo a logorare la vittima, debilitandone l’apparato neurologico-immunitario e dal punto di vista emotivo, lo sviluppo di comportamenti ansiosi, insicuri o altrimenti evitanti ed aggressivi.

L’esperienza traumatica impatta infine con lo sviluppo di capacità cognitive, di pensiero astratto e simbolico, problem solving adeguati, coping assertivi ed efficaci.

Il paradosso del trauma è quello di aggiungere male al male: è come se, dopo il suo verificarsi, le risorse cognitive della vittima venissero letteralmente alterate in senso peggiorativo, favorendo la strutturazione di un’emotività disregolata, instabile, talvolta lesiva ed auto sabotante. Il tutto al fine di rispondere agli effetti logoranti di un evento che, per quanto concluso, continua a ripetersi. Dopo un trauma tutto il mondo è percepito con un sistema nervoso differente.

Dott. Marco Forti.
Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico
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