Psicoterapia del disturbo di panico: EMDR o CBT?
In un recente studio (Faretta, 2013) sono stati messi a confronto due approcci terapeutici nel trattamento del disturbo di panico: la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) e l’Eye Movement Desensitization e Reprocessing (EMDR).
Secondo il modello cognitivo comportamentale, gli attacchi di panico derivano da erronee e catastrofiche interpretazioni di sensazioni di arousal corporeo innocue (Taylor, 2006). Quando cioè si provano queste sensazioni (quali palpitazioni, stretta o dolore al petto, sudorazione, sensazioni di difficoltà respiratorie) la persona (e in particolare la persona che ha una elevata sensibilità all’ansia) può interpretarle erroneamente in maniera catastrofica (per es. come segno di morte imminente, pazzia, perdita di controllo). Questo provoca un aumento dell’ansia, incrementando così l’intensità delle sensazioni temute (ad es. palpitazioni più forti). Questo porta la persona, convinta sempre più di una catastrofe imminente, ad allarmarsi ulteriormente, aumentando a sua volta l’intensità delle sensazioni di ansia, fino ad innescare un circolo vizioso che culmina nell’attacco di panico.
La CBT per gli attacchi di panico usa strategie finalizzate al decondizionamento (esposizioni enterocettive, in vivo e training di rilassamento) e al promuovere un più adeguato funzionamento cognitivo nell’interpretazione dei sintomi fisici (attraverso la ristrutturazione cognitiva). La CBT, quindi, combina interventi psicoeducativi (sulla natura e gli aspetti fisiologici dell’ansia e del panico), tecniche cognitive (che mirano a modificare la tendenza ad interpretare in modo catastrofico le sensazioni corporee) e tecniche comportamentali (quali l’esposizione alle sensazioni fisiche e alle situazioni temute e la promozione di adeguate capacità di coping rispetto ai sintomi fisici).
Numerosi studi di meta-analisi hanno riconosciuto la CBT come uno dei trattamenti più efficaci per il disturbo di panico, con il mantenimento dei miglioramenti nel follow up a lungo termine (Taylor, 2006).
Essendo l’EMDR una terapia evidence-based per il trattamento del trauma (Bisson et al., 2007), è stato ipotizzato che potesse avere un effetto anche sugli attacchi di panico, che sono spesso percepiti come esperienze traumatiche di per sé, dove la persona è così terrorizzata da una paura incontrollabile che crede di stare per morire.
Fondamentalmente, nell’approccio EMDR, secondo il modello della Processazione Adattiva dell’Informazione (AIP), si ritiene che esperienze precoci nella vita della persona, elaborate in modo disadattivo, possano contribuire ad uno sviluppo deficitario o ad un deterioramento delle capacità di resilienza della persona e possono contribuire alla formazione di errate percezioni di eventi stressanti, che si verificano più tardi nel corso della vita, che possono culminare nell’esperienza del panico. Precoci esperienze di vita negative sono infatti un possibile fattore di rischio per l’emergere di problemi psicopatologici e per la vulnerabilità al trauma (Liotti e Farina, 2011).
Secondo questo modello, l’EMDR potrebbe essere efficace nel trattamento per il Disturbo di Panico per intervenire a livello neurofisiologico, facilitando la riprocessazione di elementi immagazzinati in modo disfunzionale nella memoria (dalle precoci esperienze traumatiche che fungono da fattori predisponenti e che contribuiscono all’emergere della sintomatologia in momenti di stress successivi, ai ricordi traumatici degli attacchi di panico quali il primo, il peggiore, l’ultimo). Allo stesso modo vengono affrontati anche i triggers attuali correlati alle esperienze di panico e preparata la persona ad affrontare le situazioni future.
In questo studio, quindi, il trattamento EMDR segue il protocollo 8-fasi descritto da Shapiro (2001) con alcuni elementi aggiuntivi. Nella Fase 2 (Psicoeducazione) viene introdotta una parte specifica sul panico; nella Fase 3 (Riprocessazione dei targets) gli eventi passati da riprocessare partono dagli stressors subito precedenti il primo attacco di panico, poi il primo attacco di panico, il peggiore e il più recente; successivamente vengono elaborati ricordi di esperienze infantili di percezione di abbandono, umiliazione, paura, precoce inversione dei ruoli genitore-figlio.
Il protocollo prevede poi l’elaborazione degli stimoli nel presente, dove quindi vengono affrontati quei segnali interni ed esterni che sono associati agli attuali attacchi di panico e successivamente l’elaborazione viene utilizzata per facilitare nella persona il confronto con tali stimoli nel futuro in modo da rafforzare le risorse della persona e creare modelli di fronteggiamento più funzionali.
In questo studio le differenze nell’applicazione dei due approcci sono quindi fondamentalmente due.
Cambia il focus del trattamento: l’EMDR focalizza l’intervento sull’elaborazione dei ricordi degli antecedenti nella storia della persona che contribuiscono al disturbo attuale, oltre che sui triggers correlati nel presente all’esperienza del panico; la CBT è invece focalizzata sul cambiamento di comportamenti e cognizioni nel presente.
Ai pazienti seguiti con CBT viene richiesto di eseguire tra una seduta e l’altra dei compiti settimanali (diario degli AP, rilassamento, esercizi di esposizione) mentre nel gruppo EMDR ai pazienti non vengono assegnati compiti a casa e ciascuno risponde spontaneamente ai propri cambiamenti interni di atteggiamento rispetto a quelle situazioni che provocavano ansia.
I risultati mostrano come dopo 12 sedute di trattamento sia l’EMDR che la CBT si mostrino efficaci nel trattamento del disturbo di panico, sia con che senza agorafobia. Il trattamento con EMDR appare avere la stessa efficacia del trattamento con CBT e i risultati vengono mantenuti anche nel follow up a distanza di un anno.
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