C’è un nuovo modo per far star male gli altri: il phubbing
Una nuova ricerca mostra i pericoli del “phubbing”.
Usi il tuo smartphone come strumento di comunicazione in molti modi? Ovviamente, il telefono viene utilizzato innanzitutto per effettuare una chiamata, ma più in generale è uno dispositivo di comunicazione.
Nel “phubbing” il tuo smartphone può addirittura diventare un’arma.
Pensa alla situazione in cui la persona con cui stai parlando interrompe improvvisamente la conversazione per rispondere a una chiamata o reagire a un “bing” che annuncia una notifica o un messaggio; nel mezzo del dialogo ti ritrovi tagliato fuori da quello che rischia di essere un messaggio più importante di te, per la persona che hai di fronte. Come ci fa sentire questo? Non molto bene, vero?
I giornalisti definiscono il phubbing quell’ atteggiamento, assai poco cortese, di trascurare una persona con cui si è impegnati in una qualsiasi situazione sociale, controllando compulsivamente lo smartphone, cosa che accade quando le persone “ignorano gli altri con cui interagiscono fisicamente per poter utilizzare il loro smartphone.
Nel loro quadro, un “phubber” è una persona che avvia il phubbing e un “phubbee” è il destinatario del comportamento: un team di ricercatori britannici ha studiato questo fenomeno come un modo per meglio comprendere come questa forma particolarmente moderna di interazione sociale impatterebbe sull’interazione sociale tra phubber e phubbee.
Prima che gli smartphone diventassero onnipresenti, se volevi snobbare una persona in presenza della stessa, non avevi di certo un’opzione così facilmente disponibile. Nel bel mezzo di una conversazione, chi tirerebbe fuori un romanzo o una rivista e inizierebbe a leggere? Mentre sei fuori a cena con il tuo partner o un amico, tireresti fuori un blocco di carta per iniziare a scrivere una lettera a qualcun altro?
Anche se fossi annoiato dalle lacrime, è improbabile che ti comporteresti in modo così apertamente maleducato. Inoltre, prima degli smartphone, se tu fossi stato coinvolto in un impegno sociale, altre persone non sarebbero stati facilmente in grado di contattarti. Inoltre non avresti avuto tante distrazioni a portata di mano sotto forma di e-mail, testi, giochi online, applicazioni per lo shopping e video in streaming.
Oggi è possibile ipotizzare che la causa principale del phubbing sia la dipendenza da smartphone , che a sua volta deriva da un’eccessiva paura perdere i contatti sociali. Questa paura è stata definita coniando un nuovo termine FOMO: acronimo anglosassone che sta per l’espressione Fear of missing out; letteralmente: “paura di essere tagliati fuori” è una forma di ansia , caratterizzata da un desiderio di rimanere continuamente in contatto con ciò che fanno gli altri e dalla paura di essere esclusi da un evento o da un contesto sociale. La FoMO può portare a una preoccupazione compulsiva che si possa perdere un’opportunità d’interazione social.
Come ci si potrebbe aspettare, il phubbing può erodere la qualità della relazione, portando i suoi destinatari a sentirsi meno fiduciosi dei loro partner di interazione, quindi a sperimentare emozioni negative come gelosia, invidia, rabbia ed infelicità. Lo scopo della ricerca è stato quello di indagare sul motivo per cui il phubbing ha effetti deleteri sui phubbee. I risultati dello studio descrivono che “il phubbing è una forma specifica di esclusione sociale che minaccia i bisogni interpersonali fondamentali. È questa un’esclusione sociale, simile all’ostracismo, che porta chi si sente emarginato a percepirsi pure come “inferiore”.
Inoltre, il phubbing influenza la necessità della persona di sentirsi in controllo durante le interazioni sociali. Quando comunichi direttamente con il tuo interlocutore, hai voce in capitolo su come va la conversazione. Quando l’altro risponde al telefono hai perso quel controllo e tale perdita diventa un altro fattore negativo nella percezione di se del phubbee.
È anche possibile, tuttavia, che il phubbing diventa in qualche modo normativo e il suo impatto su di noi possa ridursi, a patto di non vederlo più come rifiuto sociale od a patto di avere una soglia particolarmente alta per sentirti snobbato, nota anche come insensibilità al rifiuto.
Tutti questi fattori sono stati messi alla prova per prevedere l’impatto del phubbing sulla qualità della comunicazione e sulla soddisfazione della relazione; i ricercatori hanno chiesto ad un campione di studenti universitari (una popolazione appropriata data l’argomento) di entrare in una simulazione di animazione 3D in cui sono stati messi al posto di una figura animata il cui partner di comunicazione (un’altra figura animata) si è impegnato in vari gradi di phubbing. Durante la parte di “phubbing” della manipolazione, la figura animata “guarda verso il basso verso lo smartphone, fa scorrere lo schermo sul dispositivo e magari sorridere su una cosa che ha appena letto. Solo in una condizione, non c’era il phubbing (il telefono era lasciato sul tavolo).
Prima dell’esperimento di phubbing, i partecipanti hanno completato un test che misura la sensibilità al rifiuto di ognuno. Dopo essere stati esposti alla situazione sperimentale, hanno nuovamente compilato i questionari in questione.
L’ipotesi di studio riguardava l’idea che la sensibilità al rifiuto e quindi al phubbing, a loro volta avrebbero influenzato il senso di appartenenza, autostima, sensazione di esistenza significativa, senso di controllo dei partecipanti.
Come previsto, le persone in condizione di non-phubbing erano le più soddisfatte, sia con l’interazione che con la qualità della comunicazione; quelli nella condizione di phubbing erano meno soddisfatti.
Osservando come i partecipanti alla condizione di phubbing hanno reagito in termini di livelli di bisogni, gli autori hanno trovato un modello di comportamento sovrapponibile a quello che si verifica quando le persone vengono emarginate.
Ciò che rende le scoperte ulteriormente impressionanti è che l’intera interazione è stata completamente simulata. I partecipanti non venivano esclusi da persone reali, ma da personaggi animati che non avevano nemmeno un‘identità particolarmente distinta .
Gli autori concludono con una critica pungente del phubbing come comportamento sociale inaccettabile: “Il Phubbing viola i fondamentali bisogni umani il che, a sua volta, porta a risultati di comunicazione negativi. Proprio come snobbare, il phubbing ferisce i sentimenti delle persone e li fa sentire in difetto con se stessi.
Potrebbero esserci momenti in cui il phubbing non intenzionale sia pressoché inevitabile, ad esempio quando si deve rispondere a una chiamata o replicare ad un messaggio, anche se siamo contemporaneamente scoinvolti in un’interazione faccia a faccia. La qualità delle nostre relazioni sociali dipende da molteplici molti fattori ed influisce sulla possibilità delle persone di sentirsi bene con se stessi e con noi.
Quale speranza? Che, conoscendo quanto disagio possa suscitare questo comportamento, le persone si impegnino il più possibile per “stare” nelle relazioni che stanno vivendo, e, se proprio devono rispondere a una chiamata o a un messaggio, dedichino a tali interruzioni il più breve tempo possibile.
Autore © Dott. Marco Forti.
Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico
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