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Il selfie: sono visto dunque sono

Il selfie, termine derivato dalla lingua inglese, è un autoscatto realizzato attraverso una fotocamera digitale compatta, uno smartphone,o altri dispositivi digitali puntati verso sé stessi o verso uno specchio e condiviso sui social network.

Oggi il selfie è una moda e fa tendenza. Le persone si scattano selfie in ogni momento della giornata, ovunque: mentre mangiano, a letto, camminando, da soli o in compagnia, insieme a persone famose, con il proprio cane, il gatto e altro genere animale. Il selfie è diventato così comune e diffuso che vengono addirittura prodotte delle estensioni (bracci meccanici) per permettere di scattarsi le foto da soli, con smartphone dotati di camere sempre più sofisticate e filtri “bellezza” che non lasciano scampo ad alcun difetto.

Il selfie differisce dagli altri tipi di foto in due modi. Innanzitutto è un tipo di foto che offre agli utenti il ​​pieno controllo di come viene scattata. Gli utenti possono controllare l’espressione facciale, la posizione della fotocamera e gli oggetti in background.

In secondo luogo, la motivazione per scattare selfie può essere diversa da quella per altri tipi di foto, dove è presente l’intenzionalità artistica, invece il selfie viene per lo più utilizzato per l’espressione personale e la condivisione sui social media, con il fine ultimo troppo spesso legato all’intento di  creare un’immagine di sé socialmente desiderabile, come strumento per attirare l’interesse e l’attenzione degli altri.

I selfie, unendo la forza dell’autoritratto con il potere comunicativo dei social media, sono in grado di offrire, soprattutto ai più giovani, uno strumento molto efficace per potersi presentare, essere visti, scegliendo con accuratezza un aspetto specifico della propria soggettività.

Si cerca di provare al mondo la propria esistenza e valenza, mostrandosi nel profilo migliore, ci sono e cerco di farlo sapere a tutti.

Ogni giorno vediamo  aumentare questo gesto ripetitivo di affermazione, di messa in evidenza: come se mostrarsi, farsi vedere, sia la prova della propria esistenza e allora la considerazione che si ha di se stessi va di pari passo ai “mi piace” collezionati su facebook, instagram e altri social.
Il selfie va a collegarsi a meccanismi psicologici di identità, ma un’identità più virtuale. Difficile e faticosa anche solo da dover gestire, perché spesso distante dalla realtà; una moltitudine di scatti in serie, alla ricerca della posa, dell’espressione, dello sfondo e dell’inquadratura migliore, a cui si applicano filtri, effetti grafici, ritocchi. Solo alla fine, la foto scelta viene condivisa, ed ecco creato l’avatar, che accompagnerà la nostra esistenza virtuale.

D’altronde viviamo in un mondo dove le immagini e la comunicazione per immagini ha assunto un ruolo fin troppo importate, le immagini occupano una grandissima fetta di quello che è il panorama comunicativo. Il selfie aderisce a  questo contesto e sempre all’interno della stesso erompe la figura del posatore\posatrice!

Il posatore\posatrice,  è la tipica persona che si esibisce in quelle pose plastiche da statua greca, senza che nessuno glielo chieda. Fa la foto del prima e del dopo e qualche volta associa lo scatto a delle frasi o delle citazioni di dubbia attinenza.

C’è un prezzo da pagare per ogni foto

Chi vive con un corpo immagine non può essere sereno, perché la sua serenità dipende da aspetti che poi non può davvero controllare.

Essere consapevoli dei propri limiti e dei propri difetti, è il bello del sentirsi unici. Quando il corpo deve trasmettere un messaggio comunicativo a tante persone deve, invece, necessariamente seguire dei canoni uguali per tutti. L’autenticità non ha più riconoscimento di valore, quindi si annulla.

A questo comportamento errato segue un’altra conseguenza: se io compro un vestito e la gente mi ferma per farmi i complimenti sul modello e lo stile, una volta terminato l’argomento la gente se ne andrà. Il posatore\posatrice non si rende conto di questo e per rinnovare l’attenzione, il rapporto è sempre alla ricerca di nuovi accessori di abbigliamento.

Questo diventa un circolo vizioso e può portare ad  ansia e preoccupazione per quello che è il giudizio degli altri, ad un abuso del proprio corpo a favore di un’approvazione altrui, una vera e propria dipendenza dal feedback delle altre persona.

Diversi studio hanno dimostrato che chi basa la propria autostima sull’opinione degli altri è più portato a pubblicare selfie.

In quanto persone possiamo avere un’esperienza diretta e immediata del nostro corpo, oppure possiamo vederlo all’esterno, come quando ci guardiamo allo specchio; poi esiste un’ulteriore modalità di scoprire il corpo: percepirlo attraverso lo sguardo altrui. È quello che succede oggi quando postiamo sui social un selfie. Quest’ultimo, ormai, è  il mezzo per sentirsi presenti nel posto in cui si è.

Con un selfie, come precedentemente descritto, operiamo un’immagine con cura, la manipoliamo con filtri ed effetti speciali, la “consegniamo” ad algoritmi che la gestiranno in base al numero dei nostri follower.

Il feedback che riceveremo sarà immediato e, soprattutto, quantificabile in like, visualizzazione e commenti.

È da sapere che quando riceviamo un like, il nostro cervello lo interpreta come una ricompensa e rilascia una “scarica” di dopamina. Ciò ci spinge a continuare a postare e interagire per ottenere nuovamente like e reactions. Questo processo è un esempio di ciò che viene definito dopamine-driven feedback loop, e conoscere il suo funzionamento può aiutarci a capire meglio il nostro rapporto con i social.

Secondo  ricerche condotte da dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano chi fa uso di selfie lo fa soprattutto per “coinvolgere gli altri” e per “vanità”. Le donne si farebbero notevolmente più selfie degli uomini e sempre le donne vivrebbero con particolare attesa la ricezione di commenti positivi dagli amici sui social network, tanto da provare timore per gli eventuali commenti negativi. Un altro studio condotto dai ricercatori della Ohio State Universit,y ha rivelato che gli uomini che pubblicano più selfie nei social network sembrano avere maggiori tratti narcisistici. Entrambe le ricerche hanno rivelato che le persone che condividono più foto nelle loro reti sociali sono quelle la cui autostima si basa principalmente sulle opinioni degli altri.

In definitiva, si tratta di autostima incrementata artificialmente, la quale non tiene conto di altri fattori della personalità.

Certo, tutti abbiamo bisogno di sentirci riconosciuti. Quel che conta, però, è non provocare una scissione incolmabile tra come siamo e come vogliamo apparire, tra la nostra iconografia online e i nostri connotati offline.

Troppe persone hanno cominciato a vedere il mondo attraverso l’occhio digitale dimenticando come godersi l’esperienza reale.

A questo si associa l’incapacità di fronteggiare la frustrazione, il bisogno di continue ricerche di conferme, la vulnerabilità alle critiche, il senso profondo di insicurezza,  superato con un tentativo di irrealistico controllo: il tentativo di bloccare e fissare la propria identità, cercando di fermare e immortalare il momento, come esperimento di reagire ai tempi della precarietà e dell’insicurezza materiale ed emotiva ed,  oserei dire,  anche affettiva.

 

Autore © Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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