Viale Montegrappa 22, Grottammare / Corso Umberto I, n. 18, Civitanova Marche

La regina di scacchi: le relazioni che aiutano

Gli scacchi sono complicati quasi quanto può esserlo la vita.

A differenza della vita, però, sono un gioco con regole certe. Le minacce non piovono dal cielo né derivano dal caso, non esiste sorte avversa negli scacchi, ma soltanto avversari la cui unica arma è la propria capacità di ragionare. Nessuno ti può fare del male se apprendi ad usare il cervello come si deve.

È facile quindi vedere negli scacchi un rifugio sicuro, se non addirittura l’illusione di poter dominare il caos con la forza del pensiero.

Da un punto di vista psicologico, la miniserie “La regina di scacchi” in onda su Netlix, racconta di Elisabeth Harmon, la protagonista, che arriva da una storia personale molto travagliata: vive i suoi primi anni con la madre che soffre di una profonda sofferenza psichica per poi ritrovarsi orfana presto ed essere trasferita in un orfanotrofio, successivamente sarà adottata da una famiglia disfunzionale dove assiste a un secondo abbandono della figura maschile, mentre la madre adottiva è un’alcolista.

Tante situazioni difficili che generano un carico emotivo enorme, tale che nessuna bambina al mondo sarebbe in grado di elaborare da sola, senza l’aiuto di una figura di riferimento (caregiver). La protagonista  compensa questo suo essere “succube degli eventi” con un ipercontrollo che esercita in un  gioco, quello degli scacchi; la sua è un’abilità innata nel cogliere e dominare gli schemi di questo gioco in modo intuitivo.

Quella che sperimenta Beth, infatti, non è una semplice competizione agonistica ma un bisogno pulsionale: il suo mondo è costituito dai 32 pezzi posti sulle 64 case della scacchiera. Gli scacchi si possono controllare, le mosse si possono prevedere, ogni partita vinta restituisce a Beth un’illusoria autonomia e una forma di controllo

Senza entrare troppo nella trama del racconto possiamo evidenziare temi di grande rilevanza psicologica:

  • le difficoltà emotive e relazionali che spesso incorrono in coloro che hanno un livello di intelligenza più alto della media nel comprendere e gestire le emozioni.
  • il ruolo delle esperienze di vita infantili nel plasmare gli aspetti di personalità, tanto nelle risorse quanto nelle vulnerabilità personali.

Come detto precedentemente, Elisabeth Harmon vive un’infanzia piena di imprevisti e di sofferenze.

Vediamo nel film come queste esperienze traumatiche abbiano generato una profonda difficoltà nel fidarsi delle altre persone, una difficoltà nel gestire le emozioni e un bisogno di rifugiarsi in stati mentali alterati (alcool e droghe) per fuggire da tutto questo. Allo stesso tempo, queste stesse esperienze hanno influito anche nella strutturazione di risorse importanti e strategie di sopravvivenza che permettono alla persona di andare aventi in situazioni difficili compensando in parte il potere distruttivo dei traumi infantili.

La scelta delle risorse  cade sugli scacchi come passione che guida il suo percorso di crescita. Negli scacchi vi sono degli schemi che, per quanto complessi, possono però essere appresi e dominati. Il gioco si basa su delle regole precise e su una prevedibilità delle mosse in un rapporto di causa-effetto. La protagonista è forse così brava e così determinata in quanto ha bisogno di certezze e sicurezze, perché nella sua vita queste sono mancate sempre.

La sfera delle emozioni e delle relazioni sembra invece per lei troppo difficile da gestire, poiché i modelli relazionali che ci accompagnano da adulti sono un retaggio della vita affettiva sperimentata da bambini e  la bambina può solo inizialmente trasformare il gioco degli scacchi nel suo rifugio più sicuro.

Il modo che Beth ha per proteggersi da tutta la sua sofferenza è quello di non sentire emozioni, energizzando inconsciamente la sua logica, razionalità,  genialità e gli scacchi diventano il suo strumento.

Eppure, se di relazioni si è ammalata, di relazioni guarisce. Elizabeth a un certo punto, a modo suo, ha il coraggio di andare oltre la scacchiera, quel mondo illusoriamente protetto che si era creata: si immerge nel suo passato, lasciandosi aiutare e le sue emozioni iniziano  finalmente a fluire, con le lacrime e la richiesta di sostegno ed aiuto.

Il finale della storia infatti è una bellissima metafora di come l’individualismo portato all’esasperazione lasci le persone in balia dei propri fantasmi e di come invece le relazioni profonde ed autentiche, la possibilità di fidarsi, il poter contare sugli altri ripaghi nei modi più impensabili: Elizabeth elabora (comprende emotivamente) che nonostante la lunga serie di abbandoni ed eventi traumatici, esistono persone affidabili, esistono persone capaci d’amore.

Dott. Marco Forti.
Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico
L’articolo rispecchia le opinioni dell’autore al momento dell’ultima modifica. Vedi le indicazioni relative a Informativa Privacy e Copyright.

 

Leave a Comment

(0 Commenti)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Close