Con la crisi economica e la disoccupazione ai massimi storici, può accadere che il lavoro occupi sempre più spazio, a discapito della vita privata. Il paradosso è solo apparente. «È proprio in tempi di attenzione estrema ai costi che le aziende fanno più fatica a investire in welfare e ad assumere il personale e dunque, chi ha la fortuna di avere un lavoro, si trova spesso a dover “fare per tre” e magari a dover rinunciare a una fetta di tempo privato», rileva la psicologa Rosa Riccio, dello Studio di Psicologia e Psicoterapia Corvetto di Milano, specializzato in questi temi. Lamentarsi vuol dire rischiare di sentirsi dire “beh, però tu almeno un lavoro ce l’hai”…

Tuttavia, «ciò che spinge le persone a fermarsi al lavoro oltre l’orario trascurando la propria vita privata non ha a che fare solo con il sovraccarico – osserva ancora la specialista -. Spesso, nelle aziende, fermarsi oltre l’orario standard rappresenta una regola non scritta il cui rispetto implica la possibilità di accedere alla categoria di quelli che possono crescere e di cui la società si può fidare».

Perché il rapporto tra vita privata e lavoro diventa «sbilanciato» 
Ma la questione è decisamente più complessa e ha a che vedere con i propri bisogni e priorità, e dunque con il nostro modo di essere. «In molti casi le persone vivono con estremo disagio e senso di colpa il doversi “fermare in ufficio” fino a sera, eppure non riescono a dire no e a preservare il tempo necessario da dedicare ai propri affetti e alla propria vita personale».Perché accade questo? «Nel lasciare che il lavoro occupi uno spazio dilatato e nel non riuscire a ridimensionarlo – osserva Rosa Riccio – le persone rispondono inconsapevolmente a dei propri bisogni interni. Bisogni di approvazione da parte degli altri, bisogno di controllo sul proprio lavoro e sulla propria prestazione, paura di un possibile giudizio negativo da parte degli altri».

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