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Coazione a comprare

“Se le persone non trovano quel che desiderano, si accontentano di desiderare quello che trovano” [G. Debord]
Provate a fare questo piccolo esperimento comportamentale.
Scegliete un vostro giorno libero, possibilmente il giorno dopo aver percepito lo stipendio (se ne avete uno) o comunque quando avete un bel gruzzoletto in tasca.
Entrate in un mega centro commerciale, o del mobile, o alimentare o altro, vicino casa vostra e restateci per minino un’ora al suo interno girandolo in lungo e in largo.
Uscitene senza aver acquistato niente, ma proprio niente.
Bene, se riuscite ad uscire senza aver acquistato neanche un pacchetto di gomme o una confezione di cotton fiock di cui certamente avevate un’indifferibile necessità, avrete vinto… Cosa? I miei più sinceri complimenti (lo so, è poco, ma meglio di niente).
In realtà questo incipit giocoso che sottolinea una difficoltà molto comune come imporre la propria determinata volontà ad un’astinenza, seppure circoscritta, negli acquisti, cela una questione molto seria e per certi versi drammatica, quella che riguarda il fenomeno del cosiddetto acquisto impulsivo.
Diciamo subito che senza l’acquisto impulsivo la nostra società, così come attualmente organizzata economicamente e politicamente, crollerebbe in un attimo. I consumi diminuirebbero drasticamente e a catena tutto l’edificio su cui si fonda la nostra economia.
Ma siamo ben lontani da questa eventualità: nessun movimento del panorama politico si propone al momento come autenticamente rivoluzionario in quanto nessun movimento mette al centro delle proprie azioni politiche l’unica cosa che veramente conta (molto prima dei diritti civili e sociali) e cioè il comportamento d’acquisto (e la nuova identità consumista che ci appartiene e che ci riguarda tutti).
Non sto augurandomi questa apocalisse, sto solo focalizzandomi su quella che considero l’architrave del meccanismo, che a sua volta ha un suo radicamento sociale, soggettivo e anche neurobiologico. Certo, fa riflettere l’evidenza che l’architrave sia diventata un comportamento considerato neurologicamente critico e al limite anche psicopatologicamente rilevante. E poi, proprio questo: l’impulsività. Non stiamo parlando solo del discontrollo dell’impulsività grave o del comportamento convulsivo che osserviamo in innumerevoli quadri psicopatologici, ma piuttosto dell’impulsività ordinaria, quotidiana, che riguarda tutti noi, che passa del tutto inosservata, sottotraccia, e che ci fa dire, sorridendo: ma guarda un po’ questi bricconcelli del megacentro commerciale, ogni volta che ci capito, entro che non devo comprare niente o una sola cosa ed esco con il carrello pieno (o quasi).
Tanto è vero che l’oniomania (più recentemente denominato shopaholism) non è considerato come un vero e proprio disordine, ma come un disturbo i cui criteri diagnostici sono stati approfonditi soprattutto da S.L. McElroy (McElroy, S.L., Keck, P.E., Pope, H.G. et. al. 1994. Compulsive buying: A report on 20 cases. Journal of Clinical Psychiatry 55, 242-248). Vediamoli in breve:
1.       La preoccupazione, l’impulso o il comportamento del comprare non adattivi esperiti come irresistibili, intrusivi o insensati; comprare frequentemente al di sopra delle proprie possibilità oggetti inutili (o di cui non si ha bisogno), per un periodo di tempo più lungo di quello stabilito.
2.       La preoccupazione, l’impulso o l’atto del comprare causano stress marcato, fanno consumare tempo, interferiscono significativamente con il funzionamento sociale e lavorativo o determinano problemi finanziari (indebitamento o bancarotta).
3.       Il comprare in maniera eccessiva non si presenta esclusivamente durante i periodi di mania o ipomania.
Osserviamo dunque come l’acquisto impulsivo nelle sue varianti meno pervasive e più ordinarie, ben lungi dal diventare un vero disturbo da shopping compulsivo, venga derubricato frettolosamente tra le lievi vulnerabilità della contemporaneità, una sorta di cifra esistenziale che rappresenta una visione del mondo tutto sommato innocente e innocua che non vale la pena nemmeno sottolineare e di cui quindi non preoccuparsi affatto.
Alcuni colleghi (ben pochi a dire il vero) provano a combattere l’impulsività degli acquisti aumentando la consapevolezza del consumatore in merito alla Psicologia dei Supermarket.
Queste, ad esempio, alcune coordinate da tenere presenti quando si entra in un centro commerciale o supermarket:
1.       La collocazione dei prodotti sugli scaffali
2.       La disposizione dei prodotti nelle corsie
3.       Il tempo di permanenza nel market (l’assenza di orologi e di finestre sul mondo esterno).
4.       L’ordine progressivo dei prezzi (in modo da consentire un criterio comparativo)
5.       La collocazione strategica dei prodotti di prima necessità
6.       La collocazione strategica di prodotti complementari
7.     L’utilizzo di punti vendita ed espositori di mercanzia particolarmente appetibile vicino le casse
8.       L’utilizzo di strategie sensoriali: olfatto, musica, luci, tatto.

Il comportamento di acquisto rimane però soprattutto oggetto di interesse e di studio di economisti, psicologi e varia umanità che è interessata a vendere di più e meglio merci e servizi variabilmente utili o inutili. Si occupano di esso prevalentemente addetti alle vendite ed esiste una costellazioni di sotto-discipline (a cavallo tra economia e psicologia comportamentale) che lo studia con una certa esperienza, attenzione e diciamo pure entusiasmo teorico. Dando ad esempio una rapida occhiata a questa pagina (scovata a caso sul web) possiamo osservare la varietà, la raffinatezza degli studi e delle valutazioni degli addetti ai lavori e cominciamo quindi a farci una pallida idea degli interessi che muove questo settore.

Un salto di qualità di queste discipline (o un possibile sviluppo applicativo di esse) lo abbiamo incontrato negli ultimissimi anni: sia grazie alla nascita e lo sviluppo dell’economia cognitiva e delle teorie delle decisioni e gli studi sulle euristiche (già dagli anni ’80, da Kahneman e Tversky in poi), sia, più recentemente, grazie alla nota evoluzione dei meccanismi di osservazione e screening delle attività cerebrali con tutte quelle interdiscipline (in genere con prefisso “neuro”) quali la neuroeconomia, la neuropolitica, il neuromarketing, che altro non sono che la visualizzazione dei meccanismi e dei difetti neurocognitivi strutturali della nostra specie a fronte di condizioni ambientali e culturali ipercomplesse e/o manipolatorie. In quest’altro articolo Neuroeconomia. Quando tra il tuo cervello e quello di un cocainomane non passa alcuna differenza, ne cominciavo appunto a discutere. Consiglio anche un testo molto istruttivo: Mente Mercati Decisioni. Introduzione all’economia cognitiva e sperimentale, Motterlini e Guala, Univ. Bocconi Editore, 2011, nel quale si svelano molti dei meccanismi fallaci (che sono alla base dei comportamenti di acquisto) che permettono oggi di affermare che chi si occupa di economia deve conoscere allo stesso tempo alcuni fondamentali di psicologia cognitiva.
Ma di questi temi non se occupano solo eminenti ricercatori e scienziati che possono in teoria continuare all’infinito a nascondere il proprio posizionamento etico-politico dietro una presunta neutralità accademica e dietro una artificiosa scotomizzazione della propria cittadinanza. Se ne occupano economisti, esperti di marketing e operatori di vendite che hanno naturalmente fortissimi interessi.
Ma un conto è che se ne occupino venditori di merci e servizi (guarda ad esempio con quale enfasi questo sito propone corsi di vendita persuasiva), un altro se ad occuparsene siano operatori della salute (ad esempio medici e psicologi). Parliamo perciò di interessi, obiettivi e orizzonti etici del tutto differenti e confliggenti, una vera e propria collisione etica di entità suprema, direi. Gli uni difendono lavoro e società, gli altri la salute e la vita. Proprio come accade a Taranto con le acciaierie Ilva dove questo dilemma etico tra lavoro-società versus salute-vita nel suo mostrarsi nella sua eclatante drammaticità sembra essersi da sempre (50 anni) sbrigativamente risolto assolutamente in sordina a totale favore dei primi. Taranto, da questo punto di vista rappresenta il picco più eclatante di un movimento tendenziale ed il punto di massimo conflitto della società contemporanea.
Ci ritroviamo, in casi come questo del comportamento di acquisto impulsivo, non solo a prendere atto della particolare inconciliabilità tra gli interessi della società e quelli della salute e a ritrovare a livello operativo le stessa divaricazione etica. Non che tale inconciliabilità non sia riscontrabile e attribuibile ad altre epoche storiche, ma mai come in questo periodo di riproducibilità tecnica e di manipolatività, tale conflitto assume significati nuovi e del tutto inevasi da settori come il nostro, e non solo.

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