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Il difficile mestiere del genitore: essere una madre “sufficientemente” buona

La pratica clinica è ricca di storie di madri gravate dai sensi di colpa, ingabbiate nella sensazione di non essere all’altezza del proprio ruolo genitoriale. Mamme che si sentono mancate, improvvisate, spaventate e che provano vergogna ad ammetterlo, poiché non riescono ad esprimere le loro emozioni più imbarazzanti.

Quale madre non si è mai  chiesta:  “sarò un bravo genitore?” “sarò all’altezza?” “ciò che faccio va davvero bene?” Il mestiere della mamma è profondamente misterioso, mai uguale, da inventare continuamente; ad ogni domanda ci sono mille risposte, ad ogni dubbio ed emozione, mille sensazioni diverse che una donna può vivere e per ogni mamma la strada è unica.

Ogni genitore si interroga su se stesso, sul suo operato, . Il timore di non essere adeguati, di sbagliare, di non dedicare abbastanza tempo, suscita perplessità. Bisogna partire però  dal presupposto che ogni padre e madre si relaziona e cresce il proprio bimbo nel miglior modo possibile.

Le madri sbagliano, commettono tantissimi errori ogni giorno, ma vogliono bene ai loro figli; i genitori sbagliano tante volte a dire una parola, a fare un gesto, ma d’altronde non esistono MADRI PERFETTE.

Le madri possono essere invece SUFFICIENTEMENTE BUONE come  ha definito  Donald Winnicott (1896-1971) pediatra e psicanalista inglese.

Il processo di bilanciamento

Nello spiegare l’adattamento della madre ai bisogni del bambino, Winnicott chiarisce che la “madre sufficientemente buona” intraprende  un percorso relazionale con il bambino  cercando di cogliere e  adattarsi ai suoi bisogni.

Sacrifica il proprio sonno e parte delle proprie necessità per soddisfare i bisogni del proprio bambino.

Col passare del tempo, la madre permette poi al bambino di provare piccole quantità di frustrazione. È empatica e premurosa, ma non si precipita immediatamente verso il bambino ogni qualvolta piange o reclama la sua presenza. Il compito diviene quello di deludere pian piano il bambino, man mano che questo sviluppa la capacità di tollerare la frustrazione e accettare i limiti.

Naturalmente, all’inizio, il limite di tempo per questa frustrazione deve essere molto breve.

 Non è “perfetta”, ma è “sufficientemente buona” in quanto il bimbo sente progressivamente  una lieve quantità di frustrazione.

Il bambino, dalla nascita in poi, affronta un percorso caratterizzato da un progressivo incontro con la realtà . Questo percorso è graduale e il compito della madre è quello di offrire gli strumenti necessari per supportare questa naturale progressione all’autonomia.

Alla nascita il bambino non esiste come individuo, è fuso con la realtà esterna  inconsapevole dei confini che separano il dentro e il fuori.

All’inizio il bambino sperimenta la madre come parte di se stesso, vive la mamma non come una persona separata, ma come un parte di sé. In un altro momento della vita questa potrebbe essere considerata come una condizione patologica, ma per la neo-mamma si tratta di una situazione del tutto normale.

Solo con  il passare del tempo, la sintonizzazione della madre con i bisogni del bambino inizia a diminuire gradualmente, stimolando l’attività mentale del bambino a costruire il senso di un mondo esterno.

La madre “sufficientemente buona” è per Winnicott una donna  vera che, con ansie e preoccupazioni, stanchezza, scoraggiamenti e sensi di colpa emerge come figura in grado di trasmettere amore, una madre imperfetta, ma che prova a dare il meglio di se, che si prodiga in tal senso.

Lo psicoanalista inglese, ha avuto il merito di liberare la figura materna dall’incombenza del dover essere perfetta e infallibile nei confronti della prole, è riuscito a smantellare la figura della madre dispensatrice di cura e amore senza sviste, lacune, imprecisioni, per farne emergere una alternativa di madre imperfetta, ma semplicemente presente in modo affettuoso. La madre “sufficientemente buona” è per Winnicott una donna spontanea, autentica e vera che, con ansie e preoccupazioni, stanchezza, scoramenti e sensi di colpa emerge come figura che prova a trasmettere sicurezza e amore. Con la sua definizione di madre “sufficientemente buona”, solleva ogni mamma da qualunque vana aspirazione alla perfezione e la invita a coltivare anche i propri limiti.

Pur avendo “molte buone ragioni per detestare il figlio”, come diceva Winnicott, è una madre in grado di rispondere più o meno adeguatamente ai suoi bisogni.

Il vero pericolo che un genitore corre, risulta piuttosto la mancata consapevolezza dei propri sentimenti e dei propri limiti. L’incapacità di vedere e vivere il proprio figlio, dopo un’iniziale necessaria fusione, come un essere separato da sé, e quindi passibile di emozioni sia negative che positive.

Chiarisce Winnicott: “sarebbe d’aiuto chiarire alle madri che può capitare di non provare immediatamente amore per i propri figli o di non sentirsela di allattarli; oppure spiegare loro che amare è una faccenda complicata e non un semplice istinto”.

Il mestiere del genitore non può essere ricalcato su di un modello ideale che non esiste. Ciascun genitore è chiamato a educare i suoi figli solo a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento.

 

 

 

 

Autore © Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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