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QUELLO CHE GLI UOMINI NON DICONO ( …MA PROVANO)

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS solo una percentuale non maggioritaria  delle persone che affrontano una malattia complessa o invalidante, che sono in lutto, che vivono rilevanti problematiche familiari, che subiscono violenza o altre esperienze traumatiche, riescono a riconoscere la propria fragilità emotiva e si attivano per chiedere aiuto in questo ambito.

La maggioranza permane silente ed in questa maggioranza sono gli uomini che tendono, in primis,  a non impegnarsi in comportamenti di ricerca di aiuto, a minimizzare i loro sintomi di salute fisica e mentale.

Sicuramente, gli uomini non hanno l’intenzione, come tutti, di vivere problemi di salute mentale o medica, quindi qual è il perché di questa reticenza maschile a chiedere aiuto?

Qual è il perché di questo atteggiamento psicologico a voler essere indipendenti a tutti i costi, ma che spinto a tale eccesso può irrigidirsi in un’autosufficienza faticosa?

Quello di non chiedere aiuto a nessuno è un atteggiamento psicologico che deriva da una forma di cultura.

All’origine c’è un’educazione impartita per generazioni ai giovani uomini, che impone di essere loro autosufficienti e di cavarsela da soli in ogni circostanza.

Naturalmente questa ricerca dell’autonomia non è un aspetto necessariamente negativo, soprattutto se motiva alla realizzazione di sé e dei propri desideri, a volte però questa voglia di indipendenza compulsiva si può fissare in atteggiamenti che portano a rifiutare l’aiuto dell’altro, anche quando si è in difficoltà oggettive.

Molti, si ribadisce, sono gli uomini che  vivono tale condizione in buona parte della loro vita, se non in tutta, con le aggravanti e le complicazioni del caso poichè non riescono a riconoscere e condividere quello che provano.

Si tratta di uomini che vengono cresciuti all’ombra di valori ed idee che non sono aggiornate con i tempi che viviamo.

Uomini a cui si insegna sin da fanciulli a PROGRAMMARSI DA “MASCHI”, un programma che spinge su parole come forza, durezza e rifiuto dell’intimità;  uomini  che finiscono prigionieri di un ruolo costruito, che non sanno rispondere ai loro bisogni poiché non riescono a definirli, non li riconoscono neppure.

Discernere e poter parlare liberamente delle proprie emozioni, dei propri pensieri o propositi e soprattutto dei sentimenti, richiede una sicurezza interiore che ben pochi hanno, insieme ad un certo grado di menefreghismo dell’eventuale giudizio o critica che potrebbe derivare dagli altri.

Il falso mito dell’uomo che non deve chiedere mai 

La nostra generazione è cresciuta dietro ad alcuni stereotipi banali e assurdi; negli anni 80 e 90 andava di moda la pubblicità di un noto profumo, dove una ragazza letteralmente aggrediva sessualmente un belloccio di turno e la voce narrante dello spot sentenziava che “un uomo che non deve chiedere mai”.

I bisogni quindi, sottolineava la pubblicità, non sono permessi, rischiano altrimenti di entrare pesantemente in conflitto con l’identità che si vuole mantenere, una facciata che non permette di sentirsi richiedenti, bisognosi, vulnerabili, dipendenti, fragili.
Le condizioni culturali di certe parti del mondo, hanno portato gli uomini a reprimere sentimenti di bisogno, vulnerabilità e di cura, facendo in modo che non si sviluppasse come avrebbe dovuto la loro capacità di esprimersi. Una condizione chiamata “alessitemia maschile.

Le linee guida dell’APA  (American Psychological Association) suggeriscono che l’aderenza eccessiva allo stereotipo della  “mascolinità tradizionale” può essere dannoso per la salute mentale degli uomini. L”ideologia maschile tradizionale ha dimostrato di limitare lo sviluppo psicologico degli uomini e di influenzare negativamente la salute mentale.

Le statistiche nord-americane mostrano uomini che hanno tassi di suicidio più alti,  più malattie cardiovascolari e sono più soli quando invecchiano. Ci sono letteralmente decenni di ricerche che indicano il fatto che la conformità alla “mascolinità tradizionale” è associata a cattiva salute tra gli appartenenti al sesso maschile, alti livelli di pensieri depressivi, cattive relazioni e agiti di violenza.

In Australia, dati raccolti, evidenziano che  gli uomini hanno più incidenti, hanno maggiori probabilità di togliersi la vita e sono più inclini a patologie croniche legate allo stile di vita, rispetto alle donne e alle ragazze della stessa età.

Espandere il repertorio emotivo degli uomini

Oltre a esaminare gli impatti della “mascolinità tradizionale” sulla salute mentale degli uomini, le ricerche dell’APA incoraggiano anche gli operatori della salute mentale a concentrarsi su come le idee sulla mascolinità possono influenzare le relazioni interpersonali degli uomini.

Tali indicazioni non vogliono essere “attacco” agli uomini bensì un attacco a un particolare insieme di ideali su come essere un uomo.

Gli uomini associano la ricerca di assistenza per un problema psicologico o emotivo con vergogna o debolezza, per esempio. Ammettere un problema e cercare aiuto è percepito come debole, mentre è visto come forte, duro, macho e virile chi sa evitare i problemi, ignorare il dolore e negare la realtà.

Ma da dove proviene la concezione che chiedere aiuto equivale a debolezza? Da Altri uomini ovviamente. Gli uomini sono i peggiori colpevoli quando si tratta di giudicare e far vergognare i propri simili.

Il desiderio maschile di essere Superman si trasforma in Kryptonite.

Le ricerche mostrano una relazione tra uomini che evitano / negano problemi di salute mentale e medica e un aumento dei comportamenti autodistruttivi. Quando gli uomini evitano i problemi e riempiono le proprie emozioni, tendono ad agire abusando di alcol, mangiando troppo e fumando. Tuttavia, bere, mangiare e fumare troppo sono scarse capacità di coping. Non risolvono i problemi. Nel migliore dei casi, sono distrazioni. Nel peggiore dei casi, intensificano i problemi esistenti.

Non è poi corretto dire che chi non ha una convinzione radicata di potercela fare da solo difetta di coraggio, in realtà è frenato da principi diversi, come abbiamo già descritto.

Non è nemmeno corretto affermare che manca di umiltà, perché il punto non è credersi superiori agli altri, quanto avere una sorta di “difesa narcisistica”, quella modalità narcisistica che porta a dire “devo cavarmela con le mie forze, uomini che hanno difficoltà a mettersi in discussione e a cercare aiuto poiché prigionieri dello stereotipo che vede il vero uomo non rivelare le sue debolezze e correre da solo i propri rischi, per affermare uno pseudo coraggio che finisce soloper nuocergli.

Possibile imparara a chiedere aiuto?

La nostra società, col suo agonismo a tutti i costi, ha chiuso l’uomo dentro una scatola che impedisce di esporre qualunque forma di debolezza o sensibilità per non sentirsi meno valido e capace.

È ’ difficile che questi uomini arrivino da soli in terapia, perchè chiedere aiuto non fa parte del loro codice o regolamento interno, specie se si tratta di un aiuto psicologico e non fisico.

Sono più spesso le compagne od i familiari di questi uomini a chiamare per un consulto al fine di  cercare di rompere la loro corazza.

Fortunatamente superare l’esteriorità di uomini freddi, logici, portatori di soluzioni, aggressivi e vincenti per arricchirli di emozioni nuove che permettano di chiamare per nome altri sentimenti, senza imbarazzo, è possibile, ma con molta delicatezza.

Questa difficoltà, ripetiamo, deriva dall’educazione appressa non soltanto in famiglia, ma dall’intera società che vuole un uomo forte, macho, sicuro di sé, donnaiolo sempre, pena la perdita della sua mascolinità e rudezza.

Sbagliatissimo, parlare dei propri sentimenti non rende deboli, anzi rende più forti, perché soltanto i deboli temono la critica, la derisione, il rifiuto, lo scherno, chi è veramente sicuro di sé non ha nessun timore ad esternare quello che pensa, sentimenti e sensazioni comprese.

Gli uomini possono  capire che ammettere un problema è un segno di forza, non di debolezza. Gli uomini devono incoraggiare altri uomini, in particolare gli uomini più giovani, a essere consapevoli dei problemi e non ignorarli. Dov’è la logica nel peggiorare le cose ignorando i problemi? Dov’è la presunta virilità? Dov’è la forza in questo?

 

Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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