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Cattivi maestri e cattive abitudini

Imputare ai soli mass media gli effetti spesso negativi sulla formazione delle coscienze individuali e collettive ed i comportamenti conseguenti, forse è troppo semplicistico. Famiglia, scuola, istituzioni, movimenti e i leader di quest’ultime realtà possono influenzare tanto positivamente che negativamente la vita di altri,  di coloro che hanno bisogno proprio di  modelli di riferimento, di figure patriarcali di guida.

Questa società è stata definita una società “fluida”, incapace di trasmettere certezze e priva di valori di riferimento, fenomeni che rischiano così di confondere il senso della morale, di cosa è giusto o sbagliato.

L’imitazione diventa una delle poche certezze e un modo per affermare la mancanza di una vera identità, soprattutto fra i giovani che più facilmente  assumono il ruolo comune, condiviso dai pari. Essi imitano tutti i comportamenti che possono richiamare l’attenzione degli adulti, sta a quest’ultimi allora offrire adeguati, saggi, esemplari modelli di confronto.

Senza rigorismi, proviamo a chiederci perché nel nostro paese, da alcuni decenni, l’uomo pubblico (politico, imprenditore, manager, calciatore, attore…) non prova vergogna se colto in flagrante o se si rivela responsabile di  cattive e sbagliate azioni.

Evidentemente, non  scatta più una adeguata reazione sociale di condanna, poichè la società è disposta a transigere ed a giustificare.
Perché siamo arrivati a questo punto? Ecco la domanda che ci facciamo in tanti.

L’importanza dei cattivi esempi

La responsabilità è anche dei cosidetti “cattivi maestri”, della stessa classe dirigente che minimizza e sottovaluta un modo di pensare oramai diffuso nella nostra società, forse perché ritengono che la libertà di espressione comprenda anche l’offesa, l’insulto e l’ingiuria e che l’odio non sia un’arma che uccide la dignità di tutti noi.

Certo tutte le presenti affermazioni e decisioni dei leader d’oggi, nel nostro mondo occidentale, ancora  non raggiungono i limiti cruenti dei nazismo ed altri regimi totalitari, tuttavia producono effetti di intolleranza violenta, non solo a parole, ma anche, spesso, nei fatti.

Un esempio: il raid criminale dei razzisti in Virginia, che ha posto il problema di un presunto rapporto fra l’impronta politica di Trump e l’incursione degli eredi del Ku Klux Klan. Questo sospetto s’è affacciato quando il capo di tali estremisti ha detto di aver “messo in pratica le promesse del presidente americano”.

La questione ci riguarda tutti, anche perché Trump è pur sempre l’ispiratore di un certo modo di far politica.

Le cronache quotidiane raccontano come di volta in volta, per il colore della pelle, per le preferenze sessuali, per il reddito, per il ruolo sociale persino, le discriminazioni quotidiane sono il lievito madre del razzismo, comunque lo si voglia definire.

Chi parla davanti a microfoni e a telecamere accese non può non sapere come le frasi vengono amplificate e, dunque, maggiore deve essere l’autocontrollo.

Le parole pubbliche pesano come pietre e se purtroppo l’intelligenza non si attacca, la volgarità ed il razzismo sono invece contagiosi.

Insomma non possono esserci giustificazioni plausibili, l’infezione del virus ignoranza virato a cattiveria avanza, contagiando larghi strati del nostro paese. Visibilmente nel popolo del web, a cui l’incanaglimento comunicativo ha sdoganato un ricorso al trucido senza più remore. Per cui si calpesta tutto e tutti impunemente.

I “cattivi maestri” non fanno male solo alle loro vittime, ma le loro nefaste abitudini avvelenano tutto l’ambiente, lo intossicano.

Dal punto di vista psicologico, le persone tendono a confrontare le proprie condotte, idee e abitudini con quelle che osservano nell’ambiente circostante; se sono circondate da leader prepotenti, arroganti ed autoritari, una certa mancanza di rispetto o violazione dei diritti altrui, non sembrerà la fine del mondo.

Ecco come certi dis-valori vengono sdoganati e legittimati.

Come difendersi da questi pessimi maestri?

Innanzitutto è importante imparare a riconoscerli.

Qui troviamo alcuni utili suggerimenti.

– Mostrano una sicurezza “a prescindere” e nascondono ogni dubbio.

– “Vendono” bene i risultati ottenuti, mitizzandoli ad arte.

– Intuiscono al volo l’ambiente o la persona con cui interpretare questa parte.

Stanno sempre sul pulpito
– Non si trattengono dall’elargire consigli e giudizi anche senza conoscere a fondo la situazione.

Vogliono convincere
– Hanno uno spasmodico bisogno che l’altro accetti quello che dicono, e se non lo fa spesso si offendono.

Vivono male la critica
– Se qualcuno osa esprimere disaccordo banalizzano le sue idee o cambiano argomento o dicono che l’altro “non può capire”.

Guardano dall’alto
– Fanno di tutto per tenere il dialogo su un piano impari e asimmetrico, con loro sopra e gli altri sotto come discepoli.

Sono statici e noiosi
– Dopo un po’ si capisce che sono fermi, che non si mettono più in discussione e che pensano di non aver più niente da imparare.

In psicologia la reattività aggressiva viene considerata presente in tutti noi, con varie modalità, intensità, durata. Vi è però uno spartiacque non indifferente tra la confabulazione aggressiva che accompagna magari un determinato momento della giornata e il comportamento effettivo di aggressione che può raggiungere anche la violenza più efferata.

Ma qual è il trigger, la causa che determina il passaggio all’atto della propria aggressività?

Poichè l’atteggiamento aggressivo è sul piano sociale represso o meglio regolato (per mantenere la coesività collettiva), qualcosa o meglio qualcuno, dall’esterno, deve assolverci. Deve cioè legittimare la nostra aggressività e quindi assolverci dalla nostra cattiveria.

Questo può farlo solo un’autorità superiore: qualcuno al quale si riconosce o si delega dei poteri di interpretazione di ciò che è male e di ciò che è bene.

In questo i capi politici hanno un enorme potere e responsabilità, ma oggi  nel trionfo dei “modelli narcisistici”, i leader di partito (con la felpa e non) si assumono consapevolmente e delinquenzialmente questo ruolo.

Autore © Dott. Marco Forti.

Psicologo, Psicoterapeuta & Sessuologo Clinico

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